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Il mercato del lavoro di riforma in riforma

di Fabio Germani

disoccupazione_lavoro_disuguaglianzeIn attesa di scoprire l’esito del decreto Poletti – l’ultima mediazione in seno alla maggioranza riguarda la cancellazione dell’obbligo di assunzione per le aziende che oltrepassano il tetto del 20% dei contratti a termine, sostituito con una multa dal 20 al 50% della retribuzione – è interessante analizzare l’andamento del mercato del lavoro negli ultimi dieci anni. Un’infografica dell’Adapt (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali) aiuta a comprendere meglio le dinamiche che si sono susseguite nel tempo e, almeno in parte, a smontare alcuni luoghi comuni al riguardo. Tanto per cominciare, l’Italia non è nuova ad una crisi occupazionale di vaste proporzioni. Oggi il tasso di disoccupazione si attesta al 12,7%, quasi un punto in più rispetto alla media europea (registrando il maggiore incremento in un anno dopo Cipro e Olanda, secondo l’Eurostat), ma già nel 1996 aveva raggiunto livelli ragguardevoli, all’11,3%. Nel 1997 entra in vigore il cosiddetto pacchetto Treu, che “sdogana” i contratti di lavoro temporanei dando così il “la” a quello che sarebbe stato lo spauracchio degli anni a venire: il precariato. Il timore si rinvigorisce con l’adozione, nel 2003, della riforma Biagi, in verità svuotata (e di molto) di quelle che erano le linee guida contenute nel Libro Bianco redatto dal giuslavorista ucciso dalle Nuove Br nel 2002. Nel frattempo, già il pacchetto Treu stava portando i suoi primi frutti: dal 1998 (11,44%) al 2002 il tasso di disoccupazione scende fino all’8,55%. Con la legge 30 si arriva addirittura al 6,17% del 2007. È quello, tuttavia, il lasso di tempo in cui si comincia a riflettere sull’opportunità di semplificare il mercato del lavoro (troppe le tipologie contrattuali, quasi impossibile per i giovani ottenere impieghi stabili, eccessiva precarizzazione erano le principali accuse rivolte al sistema dell’epoca). Ma sono anche gli anni in cui in tanti sponsorizzano una maggiore flessibilità ritenendo il mercato del lavoro ancora molto ingessato, così viene osservata con rinnovata convinzione il modello scandinavo della flexicurity (che in Italia godrà di buona pubblicità a fasi alterne, nonostante la stessa Unione europea promuoverà in più occasioni l’esempio della Danimarca). Il 2007 è anche l’anno della riforma Prodi-Damiano sulle pensioni e la vigilia della crisi economica e finanziaria che dagli Stati Uniti si trasferirà presto in Europa.

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Il resto è storia recente. Tra il 2009 e il 2012 (l’anno della riforma Fornero) il tasso di disoccupazione subisce un balzo notevole – complice soprattutto la crisi economica che costringe le imprese a chiudere i cancelli –, passando dal 7,8% al 10,8% per poi raggiungere, nel 2013, un “definitivo” 12%, confermato nel 2014 e nel 2015 secondo le stime dell’Istat. La riforma voluta dal governo Monti procede di pari passo con quella delle pensioni (sempre ad opera dell’allora ministro del Lavoro, Elsa Fornero) che ha ridotto drasticamente il turn over, vista la difficoltosa uscita dei lavoratori più anziani. Ma soprattutto – è la principale critica – la legge 92 complica anziché semplificare, aggiungendo nuove regole che rendono impervia la flessibilità in uscita (si ricorderanno le polemiche sull’Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori). Oggi i disoccupati sono poco più di tre milioni, nel 1998 erano 2,7 milioni.
Chi ha avuto modo di lavorare al suo fianco, ricorda spesso come Marco Biagi prediligesse studiare piuttosto l’andamento del tasso di occupazione. Quest’ultimo è diminuito dal 2008 a febbraio 2014 del 3,7%. L’indicatore misura chi ha un lavoro sul totale della popolazione in età lavorativa (15-64 anni) e per quanto il tasso di occupazione – più o meno costante al 55% negli ultimi mesi – sia più alto di quello rilevato in precedenza, negli anni della crisi ha comunque registrato un decremento dal 58,9% di febbraio 2008 al 55,2% di febbraio 2014. Vuol dire, in altri termini, che la crisi ha bruciato 1,2 milioni di posti di lavoro. Stando agli ultimi dati Istat a marzo 2014 gli occupati sono 22 milioni 356 mila, in aumento dello 0,3% rispetto al mese precedente (+73 mila), ma in diminuzione dello 0,6% su base annua (-124 mila).

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