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Ma l’austerity funziona davvero?

di Giampiero Francesca

commissione_europeaL’acronimo, certamente poco elegante, di P.I.G.S. ha accompagnato, fin dalla metà degli anni ’90, le sorti di alcune economie del vecchio continente, tutte caratterizzate da una precaria condizione dei conti pubblici, una ridotta competitività e una scarsa crescita. Con l’aggravarsi della crisi il destino di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna (l’acronimo più giusto sarebbe PIIGS, ma verrebbe a mancare il pessimo gioco di parole) sembrava segnato, dimostrando la debolezza di questa porcine economy e richiedendo l’intervento diretto, a sostengo e controllo, della Troika. Sembrava, appunto, perché, stando ai dati sulle previsioni economiche della Commissione Europea, i segnali più incoraggianti per il medio periodo arriverebbero proprio da questi paesi. Nel 2014, infatti, la Spagna dovrebbe segnare un incremento del PIL pari ad un +1,1% (rispetto ad un -1,2% del 2013), l’Irlanda un +1,7% (-0,3% nel 2013), il Portogallo un +1,2% (-1,4% nel 2013) e la Grecia un incoraggiante +0,6% (partendo da una situazione decisamente più grave con un PIL che aveva lasciato sul campo nel 2013 il -3,9%). Ancora migliori appaiono poi le stime nel medio periodo, per un 2015 caratterizzato da incrementi superiori ai due punti percentuali per quasi tutti i cosiddetti PIGS (Spagna +2,1%, Irlanda +3,0%, Grecia +2,9%). Proprio le previsioni rilasciate dalla Commissione hanno così aperto la strada ad un ampio dibattito sulle ragioni che hanno permesso a economie tanto precarie di rimettersi in moto. Dibattito che ha trovato una sponda nell’editoriale di Federico Fubini su La Repubblica interamente dedicato ad una criciale domanda: “E se l’austerity funzionasse?”
Il minuzioso articolo dell’analista economico, entrando nel dettaglio delle riforme realizzate dai singoli paesi, ritrovava, infatti, nella combinazione di aiuti economici e politiche di rigore, una delle ragioni (se non la principale) di questa ripresa. Accomunare però gli andamenti di realtà molto distanti, seppur con alcuni punti di contatto, può essere però in parte fuorviante. La ripresa del Portogallo non può essere, ad esempio, completamente equiparata a quella irlandese o al timido risveglio greco. Nel caso della tigre celtica molti analisti si sono infatti domandati se l’effettiva ripresa del paese fosse dovuta all’austerity o se, invece, fosse avvenuta nonostante l’austerity. Dopo anni di grave crisi e 85 miliardi di prestito il 15 dicembre 2013 Dublino usciva ufficialmente dal bailout, il programma di aiuti comunitari. Come per tutti gli altri interventi la Troika aveva richiesto, come condizione necessaria per l’erogazione dei fondi, l’attuazione di una politica di tagli alla spesa pubblica e una serie di misure fiscali. Imposizioni che, a differenza di altre realtà, non sono state però completamente recepite dal governo irlandese. Fra le misure non accordate da Enda Kenny vale la pena di ricordare il mancato taglio al Welfare. Alla richiesta della Troika di una diminuzione di 440 milioni (il 2% del bilancio) sullo stato sociale il ministro della Protezione Sociale Joan Burton aveva risposto un secco no, dichiarando che “L’effetto più importante dei pagamenti di welfare è che essi riducono i livelli di povertà”. Secondo il governo irlandese una riduzione delle erogazioni in questo settore avrebbe dunque depresso la domanda aggregata, con esisti nefasti per l’intera economia del paese. Il risultato di questa mediazione fra esigenze delle istituzioni internazionali e esigenze nazionali è probabilmente il miglior esempio di ripresa dell’intero vecchio continente. Il caso irlandese è però, certamente, molto diverso da quello delle altre economie deboli dell’Europa. Il quadro complessivo della tigre celtica, prima della crisi del 2010, era, infatti, decisamente più solido di quello spagnolo o portoghese. Ma i dubbi sollevati sull’efficacia delle politiche di austerity servono, quantomeno, a bilanciare i giudizi più entusiasti. Appare evidente come le scelte imposte dalla Troika abbiano giocato un ruolo decisivo per la ripresa dei cosiddetti PIGS ma per quantificarne la reale efficacia (e gli eventuali contraccolpi) si dovrà attendere ancora del tempo. Non si può, infine, non sottolineare come, al di là dell’incremento del PIL, gli altri indicatori presenti nelle previsioni della Commissione Europea rivelino una situazione ancora molto difficile per questi paesi. I tassi di disoccupazione restano, infatti, più che allarmanti (particolarmente gravi, da questo punto di vista, appaiono le stime per la Grecia 26% nel 2014 e per la Spagna 25,5% – 53,9% per quanto riguarda la disoccupazione giovanile) mentre la deflazione, già presente in Grecia (-0,8% anche per il 2014), sembra ormai affacciarsi anche nella penisola iberica (con un tasso di inflazione allo +0,1% in Spagna per il 2014), aggravando un quadro dalle tinte ancora molto fosche.

 

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