Il diario del Festival di Cannes/7
Un sole splendente saluta l’ultima giornata della sessantasettesima edizione del festival di Cannes. Mancano infatti solo poche ore all’annuncio del vincitore della palma d’oro e ormai tutte le pellicole del concorso sono state proiettate. Contrariamente a quanto ci si potesse attendere pochi applausi ha ricevuto Sils Maria di Olivier Assayas. La pellicola, diretta da un vero beniamino dei cinephile francesi, si incentra sulle vincente di un’attrice (un’ottima Giuliette Binoche) e della sua assistente (sorprendentemente interpretata da Kristen Stewart), scorrendo via fra dialoghi serrati e inquadrature delle Alpi, dove le due protagoniste si ritrovano per preparare una parte. Se non fosse per un finale quasi scollato dal resto della pellicola Sils Maria risulterebbe opera godibile, anche se non paragonabile ad alcuni dei precedenti film del regista, ben più ricchi e densi.
Chi non delude le aspettative è invece Ken Loach, altro autore ormai quasi onnipresente sulla croisette. Dopo alcune commedie molto riuscite (Il mio amico Eric o La parte degli angeli) il regista inglese torna ai toni che, nel 2006, gli erano già valsi la palma d’oro per Il vento che accarezza l’erba. Molto simile per temi e messa in scena Jimmy’s hall, film dolce-amaro ambientato nell’Irlanda post guerra civile, diviene il pretesto per raccontare un’idea di sinistra molto distante da quella attuale. La storia di Jimmy Gralton, realmente accaduta, è infatti quella di un ragazzo comunista esiliato dall’Irlanda per aver costruito una sala da ballo (la hall del titolo), una sorta di precursore del centro sociale. L’immagine positiva del protagonista, la sua battaglia per l’eguaglianza e la libertà, la sua lotto contro le élites (sopratutto quella cattolica) rappresentano l’utopica speranza di un maestro del cinema contemporaneo.
Prima di lasciarci andare ai pronostici spendiamo ancora qualche parola per l’ultimo film in concorso, Leviathan di Andrey Zvyagintsev. Il regista, già autore del meraviglioso Il ritorno (la cui visione non smetteremo mai di consigliare) arriva a Cannes con un dramma cupo che ruota intorno alla figura di un moderno Giobbe. Atto di accusa verso la burocrazia e il sistema opprimente della Russia di oggi, il film schiaccia lo spettatore, quasi asfissiandolo, con uno stile rigoroso che nulla fa per alleggerire il pubblico da questo gravoso peso.
Dopo aver visto le diciotto pellicole in concorso possiamo ora, passeggiando per le ultime volte lungo la croisette, trarre le nostre conclusioni e azzardare qualche previsione. La scelta sulla possibile palma d’oro è, quest’anno, quanto mai complessa. Senza un vero favorito, un capolavoro incontestabile, ma con molte pellicole interessanti, puntare su un candidato è davvero complesso. Xavier Dolan (Mommy) e Naomi Kawase (Still The water) sembrano essere in pole position, con la giapponese che potrebbe trarre vantaggio dalla presenza, come presidente della giuria, di Jane Champion. Più staccati, outsider di lusso, sembrano essere Timbuktu (Abderrahmane Sissako), Winter Sleep (Nuri Bilge Ceylan) e Mr.Turner (Mike Leigh), che comunque dovrebbero accaparrarsi uno dei nove riconoscimenti in palio. Se la scelta dovesse spettare a noi probabilmente a trionfare sarebbe il regista turco, le cui tre ore di film ci hanno catturato e che, probabilmente, senza la palma, difficilmente troverebbe una distribuzione in Italia.