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Gli investimenti cinesi in Italia

di Giampiero Francesca

cinaIl viaggio del presidente del consiglio Matteo Renzi nei paesi dell’estremo oriente porta con sé logiche e necessarie riflessioni sullo stato dei rapporti fra il nostro paese e alcuni dei principali attori di quelle latitudini. Dopo il Vietnam è, infatti, il turno della Cina, vera grande potenza mondiale le cui scelte strategiche si ripercuotono sull’economia dell’intero globo. Fra i tanti aspetti ampiamente dibattuti relativi alle scelte della repubblica popolare guidata da Xi Jinping poco spazio ha però trovato una seria riflessione sui suoi investimenti diretti nel vecchio continente. Grazia alla strategia del Go-global messa in campo dal governo cinese, che ha portato una semplificazione nelle procedure accompagnata da forme di supporto legale, amministrativo, consulenziale e finanziario, i flussi di investimenti diretti esteri (IDE) sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni. Se infatti, fino al 2000, il paese del Dragone muoveva su questo mercato solo 2 miliardi di dollari, dal 2010 in poi questa cifra ha superato i 60 miliardi. La maggior parte di questi fondi è ancora diretta verso Hong Kong e alcuni paradisi fiscali (Isole Cayman e Isole Vergini su tutte), ma la fetta relativa al vecchio continente (seppur ancora ferma al 2% totale) appare in continuo aumento. Numeri ancora molto relativi ma che identificano un trend sul quale sarà necessario puntare per il prossimo futuro. I gruppi cinesi attivi in Italia lo scorso anno erano, infatti, solo 79 (a cui si devono aggiungere i 52 gruppi di Hong Kong) per un totale di 195 imprese partecipate (133 da parte di realtà cinesi, 62 di Hong Kong).
Un valore esiguo ma significativo se si considera come, nel 2000, le imprese partecipate cinesi potevano essere contate sulle dita di due mani. Da un punto di vista occupazionale queste attività hanno impiegato 5.534 dipendenti per un giro di affari di 2.665 milioni di euro. Il 90% delle imprese con investimenti cinesi (121) risultavano a controllo diretto da parte delle loro aziende cinesi, evidenziando una precisa scelta da parte delle imprese del colosso asiatico. Da un punto di vista strettamente numerico i maggiori investimenti si concentrano sulle imprese commerciali (36%) e manifatturiere (34%), con le seconde che però raccolgono il 65% dei dipendenti totali. In particolare i settori più interessanti per le aziende della repubblica popolare sembrano essere quello dei macchinari, dei mezzi di trasporto e dei prodotti in metallo. La distribuzione delle realtà partecipate sul territorio nazionale rispecchia quello delle altre multinazionali presenti in Italia, con un gap evidente fra il nord ed il sud del nostro paese. Il 75% delle imprese si concentra infatti nelle regioni settentrionali, in particolare in Lombardia (37%); un dato ancor più significativo se si esclude, dal restante quarto, il 14% di aziende attive nel territorio laziale. Il modo di entrare sul mercato italiano da parte degli investitori cinesi si può, sostanzialmente, dividere in due categorie. Circa il 50% (66 imprese) delle aziende con partecipazione cinese sono state infatti oggetto di investimenti greenfield; sono state create ex novo dall’investitore cinese eventualmente in partnership con una realtà italiana. Nei restanti 67 casi, invece, si è assistito all’acquisizione di una società preesistente.
Gli esempi più importanti di investimenti greenfield sono sicuramente rappresentati dall’Industrial and Commercial Bank of China, che, nel 2011, ha aperto una sua filiale a Milano, e dal colosso dell’ITC Huawei Technologies approdata, sempre nel 2011, a Segrate. Ancor più eclatanti risultano però le acquisizioni. Già nel 2000 la Cosco aveva infatti rilevato il 50% del terminal container del porto di Napoli Co.Na.Te.Co, a dimostrazione del crescente interesse verso questo tipo di attività. Da allora molte altre sono state le acquisizioni eccellenti di aziende italiane, come quelle del gruppo Cifa (macchinari per l’edilizia) da parte delle Changsha Zoomlion heavy industries, del brand casual Sixty da parte di Crescent HydePark e del gruppo Ferretti, leader mondiale nella costruzione di motoryachts, da parte di Shandong heavy industries-Weichai. Si allargano dunque a macchia d’olio le attività di interesse per le compagnie cinesi che, per la prima volta, nel 2011, hanno toccato un settore fino ad allora ancora immacolato, quello della farmaceutica: Shang-hai pharmaceuticals ha infatti rilevato il controllo della comasca Sirton. Un caso a parte è invece quello della Haier, gigante della produzione di elettrodomestici, che, dopo aver acquistato nel 2003 la Mereghetti e nel 2009 la Elba, ha stabilito a Varese la sua sede commerciale per la vendita ed il coordinamento europeo. In generale è comunque importante sottolineare come le imprese cinesi presenti in Italia con filiali commerciali con il maggior fatturato siano quelle attive in settori ad alto o medio-alto contenuto tecnologico. Oltre alle già citate Haier e Huawei, brillano infatti la Volvo (controllata dal 2010 dal gruppo Zhejiang Geely Holding), la Lenovo (personal computer), la China National Chemicals (settore chimico) e un crescente numero di imprese attive nel settore del fotovoltaico (Trinia Solar, Suntech power, Yingli Green energy, LDK solar).

 

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