Quanto valgono i ricavi della criminalità organizzata
Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta realizzano attraverso le loro attività ricavi “pari all’1,7% del Pil, tra 18 e 24 miliardi di euro”. Il computo è stato riferito nella giornata di giovedì dal ministro della Giustizia Andrea Orlando alla commissione parlamentare Antimafia.
Si apprende così che in media, le estorsioni fornirebbero il 45% dei ricavi totali, seguite dalle droghe (23%), usura (10%), contraffazione e sfruttamento sessuale (8% ciascuna). “Il solo fatturato del mercato della droga – ha voluto osservare il guardasigilli – equivale a quello del comparto tessile e manifatturiero, il primo del paese”. A livello nazionale, Camorra e ‘Ndrangheta conseguirebbero quasi il 70% dei ricavi delle organizzazioni criminali, mentre Cosa Nostra realizzerebbe ‘soltanto’ il 18% dei ricavi totali.
A differenza delle altre organizzazioni, che ricavano una parte consistente dei propri ricavi nella regione di origine (Camorra, Cosa Nostra), i ricavi della ‘Ndrangheta provengono dalla Calabria solo per il 23%, dal Piemonte per il 21%, dalla Lombardia (16%), dall’Emilia-Romagna (8%), dal Lazio (7,7%) e dalla Liguria (5,7%), quindi per il 50% da regioni del Nord-Ovest. “In valore assoluto la Lombardia è la regione che genera maggiori ricavi illegali, seguita da Campania, Lazio, Sicilia”.
La criminalità organizzata non si muove quindi su un unico territorio, dimostrando anche di scegliere ‘con cura’ chi colpire: nel 2008 su un campione “significativo” di imprese (11.477), il 4,5% ha dichiarato di aver subito “almeno un reato” di criminalità organizzata (intimidazioni e minacce, concussione, estorsione). Di questi, buona parte sono attività come alberghi e ristoranti (9,6%), altri servizi pubblici, sociali e personali (9,7%), costruzioni (9,2%), “mentre – si legge nel recente rapporto governativo Per una moderna politica antimafia – Analisi del fenomeno e proposte di intervento e riforme – non sembrano emergere significative peculiarità dimensionali”.
Ci sono poi i risultati dell’attività di indagine svolta dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA), che evidenziano come nel triennio 2010 – 2013 le pratiche estorsive – nonostante una lieve diminuzione della loro incidenza – sono diffuse su tutto il territorio nazionale, senza alcuna eccezione. Emerge così che la regione più colpita è la Campania con 405 reati, seguita da Lombardia (355), Sicilia (307), Lazio (253), Puglia (248), Emilia Romagna (168), Piemonte (153) e Calabria (133).
Gli investimenti legali della criminalità organizzata
Ma la raccolta illecita di ingenti quantità di denaro non è fine a sé stessa, accade così che la criminalità organizzata investa i propri fondi in attività legali: secondo uno studio dell’Università Cattolica e Transcrime, il 52% del denaro viene investito in beni immobili, il 21 in mobili registrati, il 18% in altri beni mobili e il 9% in aziende (“soprattutto in settori caratterizzati da un basso grado di apertura verso l’estero, basso livello tecnologico, alta intensità di manodopera, dimensione contenuta, alto coinvolgimento di risorse pubbliche e P.A.”, osserva il rapporto). Molti sono però anche i beni confiscati: secondo i dati forniti dal Comando generale della Guardia di finanza, il valore dei beni sequestrati nel solo 2012 ammonta a 1.707.668.202 di euro; dimostrando un progressivo incremento rispetto al 2010 (1.281.403.779 di euro) e al 2011 (1.495.426.367 di euro).
Gli effetti (negativi) sull’economia
La presenza di aziende controllate dalla criminalità organizzata ha – ed è inevitabile – effetti negativi sull’economia del Paese come la distorsione della concorrenza e l’aumento del costo del credito per le imprese. “Un’indagine condotta su un campione di oltre 300.000 relazioni tra banche e imprese – scrive chi ha condotto lo studio – mostra come (dove il tasso di criminalità è più elevato) il costo del credito sia più alto”. Questo, unito ad altri fattori come l’effetto negativo sugli investimenti dall’estero e l’influenza negativa sulla quantità e qualità degli investimenti pubblici nelle aree coinvolte, comporta una perdita di sviluppo delle aree coinvolte, riassumibile in un minore PIL pro-capite. “In effetti, durante il periodo 1983-2007, le cinque regioni italiane ad alta densità mafiosa sono anche quelle con il minor PIL pro capite di tutta la penisola: in particolare nelle tre regioni in cui si concentra il 75% del crimine organizzato il valore aggiunto pro capite del settore privato è pari al 45% di quello del Centro Nord”.