L’importanza dell’economia digitale
Di innovazione ed economia digitale il premier Renzi ne ha parlato anche la scorsa settimana aprendo il semestre Ue a presidenza italiana. “Anche”, perché il tema è stato poi affrontato nelle ultime ore in occasione della Digital Venice Week. Il punto è un altro, però: di digitale ne parliamo da anni e da quando abbiamo iniziato poco è cambiato. L’innovazione non è propriamente di casa nel nostro paese, il che è surreale considerate le innovazioni che in passato abbiamo contribuito a creare e che oggi “governano” il mondo. Retorica a parte, l’invito che la responsabile dell’Agenda digitale di Bruxelles, Neelie Kroes, va proprio in questo senso: incentivare l’economia digitale e portare a compimento il mercato unico delle telecomunicazioni.
Tanto per cominciare, l’Italia deve superare gli atavici ostacoli legati al digital divide – quant’è che se ne discute? – visto che come ha ricordato la stessa Kroes a Venezia quattro case italiane su cinque non hanno copertura internet veloce. E poi c’è da considerare che qualsiasi mutamento in atto potrebbe essere a breve obsoleto per via delle nuove abitudini dei consumatori che, dati Audiweb alla mano, preferiscono i dispositivi mobile ai vecchi pc. Si tratta, in poche parole, non solo di migliorare gli ambiti in apparenza lacunosi, ma di potenziare un intero settore a 360 gradi.
Qualche numero
Già il governo Monti e poi il governo Letta hanno tentato di dare una certa priorità all’agenda digitale, non fosse altro che si tratta pur sempre di un obiettivo europeo. Il governo Renzi ha promesso a tale proposito un’azione più incisiva. Ma non dobbiamo cadere nel tranello che agenda digitale sia ICT e basta, perché in verità il comparto andrebbe a migliorare la vita di tanti lavoratori e imprenditori. Pubblica amministrazione, turismo, commercio (le Pmi più in generale) sono comparti che guadagnerebbero diversi punti grazie ad una spruzzata di innovazione che di sicuro non guasterebbe (pensiamo ai ritardi della PA e avremo un quadro molto più chiaro).
Recenti ricerche, e non dobbiamo andare troppo in là negli anni, confermano l’andazzo positivo del ciclo economico via web, quantificato in un 2% del Pil legato alle tecnologie e 700 mila nuovi posti di lavoro creati. Questo in Italia. Nel mondo McKinsey ha stimato circa due miliardi di persone impiegate “su internet”. Sempre da noi, secondo il Censis, una buona fetta della mancata crescita economica – più o meno 3,6 miliardi di euro l’anno – dipende dallo “spread digitale”. Il paradosso? Il Censis afferma che su 2.254 start up innovative – innovative – il 60,9% di esse non dispone neppure di un sito.
Ecco, in tutta franchezza: il tempo delle parole deve dirsi concluso.
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