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Cosa succede in Medio Oriente

di Mirko Spadoni

netanyahuL’offensiva israeliana su Gaza, denominata Protective Edge (margine di protezione), ha causato in soli tre giorni ben 74 morti e 550 feriti. Tra le 21 persone uccise nell’ultima notte dai raid di Israele ci sono anche cinque bambini palestinesi. Ma Tel Aviv non vuole fare passi indietro. “Il cessate il fuoco con Hamas – ha ribadito il premier Benjamin Netanyahu ai membri del Comitato affari esteri e Difesa della Knesset – non è in agenda”. Il numero dei bersagli di Hamas colpiti dall’esercito dall’inizio delle operazioni (750, stando a quanto riferito nella mattinata di giovedì da Peter Lerner, un portavoce dell’esercito israeliano) sono quindi destinati ad aumentare. Anche se l’attacco di terra – paventato nelle scorse ore – resta ancora “l’ultima opzione”, nonostante la decisione di chiamare “oltre 20 mila soldati riservisti” e nonostante i lanci di razzi effettuati da Hamas contro le città del sud non diminuiscono di intensità, anzi. Nella serata di martedì, un razzo M-302 è caduto vicino la città israeliana di Hadera, circa 70 miglia nord dal proprio sito di lancio: la distanza più lunga mai percorsa da un missile di Hamas. I razzi M-302 sono stati progettati in Cina, prodotti in Siria per poi essere trasportati verso Gaza. Eppure la versione degli ingegneri di Hamas è un’altra: sostengono di averli costruiti da sé. Mentre la sigla scelta (R-160) celebra Abdel Aziz al-Rantisi, il co-fondatore di Hamas ucciso da Israele nel 2004. I razzi – secondo l’intelligence israeliana, i palestinesi ne hanno almeno 10mila a disposizione – provenienti dalla Striscia di Gaza devono però fare i conti con lo scudo antimissile Iron Dome, il sistema difensivo israeliano in queste ore entrato in azione in più occasioni.

Abu Mazen chiede aiuto all’Egitto di al Sisi
Dopo aver accusato Israele di portare a termine “un genocidio”, l’anziano leader dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen ha annunciato di aver chiamato il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi (contattato anche dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha condannato duramente le azioni israeliane), chiedendogli di mediare tra le parti per il raggiungimento di un cessate il fuoco. Una richiesta d’aiuto che non è rimasta completamente inascoltata, nonostante Hamas – con cui Abu Mazen condivide un governo di unità nazionale – sia una costola dei Fratelli musulmani dichiarati fuorilegge dal Cairo.
Nella mattinata di giovedì, è stato aperto il valico di Rafah (la frontiera tra Egitto e striscia di Gaza) per consentire il passaggio di dieci ambulanze, che hanno trasportato alcuni feriti gravi verso alcuni ospedali egiziani. Il valico, che per Gaza rappresenta l’unico collegamento con l’esterno che non passi per Israele, viene aperto dall’Egitto solo occasionalmente a causa della fragile situazione di sicurezza nel Sinai, dove l’esercito egiziano combatte con gruppi di fondamentalisti islamici. Secondo l’agenzia di stampa Mena, gli ospedali del nord del Sinai sono stati messi.

Hamas e il sostegno dei palestinesi
Il rischio però è anche un altro: il vuoto di potere che si verrebbe a creare una volta annientato Hamas. “Se Israele colpisce mortalmente Hamas, chi riempirà il vuoto governativo? – ha scritto Nahum Barnea sul quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth – Gaza rischia di trasformarsi in anarchia come la Somalia o rifugio per organizzazioni terroristiche affiliate ad al Qaida. In altre parole, Hamas è male, ma non il male peggiore”. Hamas che secondo un recente sondaggio del Washington Institute gode sempre meno dell’appoggio della popolazione. Emerge così che alla domanda se il gruppo “deve raggiungere un cessate il fuoco con Israele sia a Gaza che in Cisgiordania” la maggioranza (il 59%) degli intervistati del West Bank e il 70% degli abitanti di Gaza hanno risposto affermativamente. Allo stesso tempo il 57% di chi abita a Gaza e il 50% di chi vive nel West Bank sostiene che Hamas dovrebbe rinunciare alla violenza. Tuttavia, “la resistenza popolare contro l’occupazione (manifestazioni, scioperi, marce e il rifiuto di massa di cooperazione con Israele)” viene giudicata con favore dalla maggioranza degli intervistati: il 62% nel West Bank e il 73% a Gaza.

 

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