Meno violenza e più corruzione
Negli ultimi vent’anni sono progressivamente diminuiti i delitti violenti e quei reati che rappresentano i principali indicatori di sicurezza di una società (omicidi, rapine, estorsioni, sequestri e prevalentemente furti). Sono aumentati, invece, quelli che più frequentemente vedono protagonisti i “colletti bianchi”, quelle persone, cioè, che (realmente o apparentemente) ricoprono un elevato grado sociale. Tra il 1985 e il 1989 le truffe denunciate sono state, mediamente, 61mila l’anno, mentre tra il 2005 e il 2009 sono salite a quota 249mila. I reati di peculato, corruzione, concussione, per i quali l’autorità giudiziaria ha avviato l’azione penale, nello stesso periodo sono passati da 9mila (1985-1989) a 21mila (2005-2009) e i reati d’ingiuria e diffamazione da 24mila a 60mila l’anno.
Negli ultimi trent’anni sono aumentati esponenzialmente anche tutti quei comportamenti “bordeline”, sempre più diffusi, che spesso non rientrano nella casistica dei reati, ma sono iscrivibili al degrado civile (vandalismo, incuria, sporcizia, schiamazzi, ecc.) che contribuiscono a disegnare il paesaggio urbano e sono diventati il principale affluente della percezione d’insicurezza dei cittadini. Anche se le statistiche sui reati non rispecchiano fedelmente ciò che avviene all’interno di una società (alcuni, ad esempio, sono sottodimensionati rispetto alla realtà come, ad esempio, quelli che riguardano la violenza sulle donne all’interno della famiglia), dal punto di vista sociologico descrivono, però, le correnti che attraversano un sistema sociale e, nell’evoluzione di lungo periodo, l’indirizzo delle trasformazioni, l’affermarsi di culture, comportamenti e sentimenti.
Il quadro che emerge è quello di una società che sembra aver progressivamente perso il senso di un orizzonte comune, dove ciascuno agisce per sé e dove la vocazione solidale pare dissolversi un individualismo ipertrofico che tiene sempre meno conto del prossimo.
Anche dal versante giudiziario, quindi, si conferma quella che è una percezione diffusa del momento storico che stiamo vivendo, attraversato da un forte degrado sociale, culturale e civile, che coinvolge temi radicati nella percezione dei sentimenti di etica e di legalità, e che si ripercuote, inevitabilmente, non solo sulla qualità del presente e sulle riflessioni del vivere quotidiano, ma predetermina e condiziona la qualità del futuro.
È significativo, per esempio, che quanto più alcuni fenomeni si radicano (come ad esempio la corruzione e la concussione) tanto più si diffonda un senso di impunità e un clima di assuefazione che indirettamente alimenta gli stessi fenomeni e scoraggia le coscienze di quegli uomini che giornalmente assolvono nel silenzio ai loro doveri di cittadini. È la società dell'”io, speriamo che me la cavo”, dove il palinsesto dell’etica pubblica ha perso i sui nuclei forti e dove il confine tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto appare sempre più sfumato, subordinato alla convenienza personale del momento. E’ in questo paesaggio di solidarietà rarefatta che la “sanzione sociale”, cioè il sentimento collettivo di condanna verso comportamenti “eticamente” sbagliati, appare troppo debole per inibire l’affermarsi dell’interesse individuale rispetto a quello generale.
D’altronde un’etica condivisa non può che fare riferimento alla responsabilità che ciascuno ha verso gli altri, sostenuta dalla piena consapevolezza di rispondere delle proprie scelte e delle proprie azioni, non solo a se stessi ma anche al prossimo. Il principio di legalità, il confine tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, inteso come rispetto del patto sociale è precondizione di tutto questo, così come i valori della solidarietà e della giustizia sociale sono anche presidio di legalità perché nessuna società può affidare esclusivamente alle leggi il rispetto della convivenza civile.
Infrangere la legge non è soltanto una questione di norme e sanzioni ma è anche un ambito politico, sociale e culturale dove vengono tracciate le coordinate della convivenza. Dove queste coordinate sfumano nel nulla è inevitabile che prevalga l’individualismo sfrenato. E persino sottomettere il prossimo può apparire possibile fino ai limiti di ciò che consente la legge (e anche oltre) senza alcun limite morale. Per questo la definizione di un’etica pubblica costituisce una delle sfide più impegnative nel momento in cui i grandi istituti di senso (la filosofia, la politica, la religione) non sembrano più in grado di orientare l’agire individuale e collettivo. Intraprendere un’esplorazione dei territori dell’etica pubblica significa mettere a fuoco l’attenzione su una varietà di problemi che incidono in modo decisivo sulla nostra capacità di interagire con gli altri ma anche di comprendere il mondo in cui viviamo, influenzando persino le azioni all’interno della sfera economica. In questa dimensione, infatti, il compito dell’etica pubblica è quello di definire l’efficacia e l’equità degli assetti distributivi attraverso cui vengono ripartiti beni e risorse all’interno di una comunità, perché una società giusta è una società nella quale ogni relazione, sociale, istituzionale, economica, politica, è ispirata al bene comune, senza per questo necessariamente comprimere le aspirazioni dei singoli individui ma iscrivendoli in un fine generale.
È necessario che il senso dell’etica, come intima percezione di un paradigma di valori sostanziali, ritorni a motivare, a tutti i livelli, le azioni e le scelte degli individui e che, al di là delle posizioni e delle differenze, sia elemento di coesione e “comune denominatore” di appartenenza. Ma per fare questo occorre che ciascuno dentro di sé – e ciascuno con gli altri – ritrovi e condivida quel senso comune di valori da porre alla base della nostra carta sociale, sulla quale innestare un sistema di diritto positivo, a volte fin troppo appesantito da una superproduzione legislativa che anche la riorganizzazione in codici e testi unici non riesce a semplificare. Occorre, cioè, ritrovare coesione attorno al senso profondo di una convivenza solidale, ancorata tanto al sistema delle leggi, quanto a un sistema di valori condiviso, attorno al quale costruire la vera sfida della modernizzazione.
È in questo campo che una politica che ha l’ambizione di volare alto può esprimere il meglio di se, tornando a essere agenzia di senso, proprio nel momento in cui i partiti sono scivolati al punto più basso della fiducia dei cittadini.
Questo articolo è stato pubblicato su l’Unità del 14 luglio 2014. Sfoglia l’indagine Tecnè in pdf