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Il (grande) business del tabacco

di Fabio Germani

sigaretteOltre ventitré miliardi di dollari. Per la precisione 23,6 miliardi di dollari. Nessuno potrà mai resituirle il marito, morto a 36 anni nel lontano 1996, ma stando così le cose se non altro passerà una vecchiaia decisamente agiata. Cynthia Robinson è infatti la vedova di un fumatore che, tra alti e bassi e dopo una battaglia giudiziaria insidiosa, è riuscita ad aggiudicarsi il maxi risarcimento dopo che la Corte Suprema nel 2006 ha respinto la class action (da 145 miliardi) contro la Reynolds American – ovvero il colosso che produce le sigarette Camel –, accogliendo però le singole istanze. Si tratta di una sentenza a suo modo storica, perché di fatto sancisce la negligenza e la scarsezza di informazioni (di anni e anni) da parte dei grandi produttori statunitensi di tabacco ai danni dei consumatori. Tanto per rendere l’idea in termini economici, soltanto una settimana prima la Reynolds – che controlla il 25% del mercato americano – aveva annunciato l’acquisizione della concorrente Lorillard per 25 miliardi di dollari. La fusione avrebbe permesso al gruppo di competere con Altria – Philip Morris – che da sola occupa quasi metà dell’intero settore (detiene il marchio Marlboro, del resto).

Investimenti per prodotti a rischio ridotto
Il verdetto crea senza dubbio un precedente ed è una mazzata bella e buona, forse tardiva, che giunge in un momento particolare. Alcune delle grandi aziende, ad esempio la Philip Morris Internazional (che intanto ha registrato nel secondo trimestre dell’anno un calo rispetto al medesimo periodo del 2013), stanno investendo non poco in ricerca al fine di garantire prodotti a rischio ridotto. Nel caso di riferimento la spesa prevista è di due miliardi di dollari più l’impegno, certificato dalla recente acquisizione della Nicocigs Limited, di espandere il proprio bacino di utenza al segmento delle sigarette elettroniche.

I colossi mondiali del tabacco
its_toastedI colossi mondiali del tabacco sono sei (i dati sono relativi al 2013): Cina National Tobacco Corporation che occupa addirittura il 43% del mercato globale. Philip Morris ha il 16% e poi a seguire si spartiscono ciò che avanza della torta la British American Tobacco, la Japan Tobacco International, la Imperial Tobacco e Altadis. Secondo i dati dell’Oms, la spesa annuale media di questi gruppi si aggira intorno ai 200 dollari per fumatore e diverse voci comprendono le massicce campagne pubblicitarie (troppa acqua sotto i ponti è passata dai tempi dello slogan It’s toasted delle Lucky Strike ad oggi) e in organizzazione di eventi, persino sportivi. Per non parlare dei soldi sperperati in passato per le “comparsate” dei marchi nelle scene, molte storiche, delle pellicole di Hollywood.

Contro il fumo, ma il mercato cresce
Mettere immagini che raffigurano i danni causati da tabacco e nicotina in Australia è valso dalla fine del 2012 una diminuzione dei fumatori pari al 15%. In effetti l’attuale tendenza è di stigmatizzare le abitudini dele persone. Anche in Russia, come in altre parti del mondo, è da poche settimane vietato fumare all’interno dei locali pubblici (ristoranti, caffè, bar, alberghi, mercati, navi e treni a lunga percorrenza, oltre che in luoghi come scuole e ospedali in cui il divieto vigeva già da un po’). Poi c’è stato il boom delle sigarette elettroniche, ora leggermente scemato a causa delle maggiori restrizioni per evitare la vendita di dispositivi ugualmente dannosi per la salute. In Italia – indagine dell’Istituto superiore di sanità in collaborazione con la Doxa di un anno fa – i principali utilizzatori di sigarette elettroniche hanno tra i 15 e i 24 anni (23,6% del campione). In generale almeno due milioni di italiani all’epoca dello studio dichiaravano di avere provato le sigarette elettroniche (500 mila, invece, gli utilizzatori abituali). Ma solo il 10% – dato importante, questo – tra gli appassionati delle e-cig hanno poi abbandonato il tabacco tradizionale.
Ad ogni modo la sensazione è che l’economia del tabacco sia destinana a prosperare ancora a lungo. Sebbene il periodo di crisi economica, l’Oms ha osservato come il business abbia fruttato il 13% in più rispetto a dieci anni prima e le stime parlano di un aumento dei fumatori che nel 2050 potranno arrivare al numero di 2,2 miliardi. E anche tra i giovanissimi la crescita non è affatto indifferente.

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