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Un Paese che invecchia

anziani_pensioniAd oggi, le nazioni “super-anziane” – ovvero quelle dove il 20% della popolazione ha oltre 65 anni – sono soltanto tre: Germania, Giappone ed Italia. Secondo un rapporto di Moody’s diffuso qualche giorno fa, le cose però cambieranno a breve: entro il 2020, a questo ristretto gruppo di Paesi se ne aggiungeranno altri 10 (Grecia, Finlandia, Svezia e Francia, ad esempio). Nel 2030, le nazioni con il 20% della popolazione over 65 saranno almeno 34.
E così la popolazione anziana, che ad oggi conta 810 milioni di unità, dovrebbe raggiungere il miliardo entro i prossimi dieci anni per poi raddoppiare – toccando i due miliardi – entro il 2050. E così nel 2045 e per la prima volta nella storia dell’umanità, la popolazione anziana (ovvero: le persone con più di sessant’anni) e quella giovane (con meno di quindici) rappresenteranno la stessa quota della popolazione mondiale (dati Population of the Departement of Economic and Social Affairs the United Nation Secrerariat).
Come già riferito, l’Italia è tra i pochi Paesi “super-anziani”. L’invecchiamento della popolazione italiana è tuttavia un percorso intrapreso da anni: nel 1971, i bambini con meno di 5 anni d’età erano circa 5,5 milioni. Oggi sono molti di meno: 3,3 milioni. E’ invece cresciuta la percentuale della popolazione con più di 65 anni, che ad oggi conta oltre 12 milioni di unità (sempre nel 1971 erano 6,1 milioni).
La crisi economica ha contribuito ad accentuare il trend: tra il 2008 e il 2012, il tasso di natalità si è ridotto del 7,4% e del 4,3% nel 2013. Tutto questo nonostante il contributo (non indifferente) dei cittadini stranieri, a cui è riconducibile il 15% dei bambini nati nel nostro Paese nel 2012: “poco meno di 80 mila”, secondo quanto comunicato dall’Istat nel novembre scorso (Natalità e fecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti). Sempre secondo gli analisti di Moody’s, in Italia la percentuale della popolazione con più di 65 anni (ora al 21,7%) passerà al 22,8% nel 2020. Nel 2030, il tasso toccherà il 26,8%. In pratica: circa il 6% in più di quanto previsto negli Stati Uniti nello stesso periodo, dove – come notato dall’economista Bill McBride qualche settimana fa – il 2013 è stato il primo anno in cui sono nati più bambini rispetto all’anno precedente, invertendo un trend che durava da cinque anni e dove la classe d’età più numerosa è tornata ad essere quella tra i 20 e i 24 anni, a discapito della classe d’età compresa tra i 45 e i 49 anni.
Ma l’invecchiamento della popolazione influirà inevitabilmente anche sulle entrate e la spesa pubblica, rendendo il sistema welfare sempre meno sostenibile economicamente. “Le prime – osservavamo qualche settimana fa su T-Mag – derivano principalmente dalla tassazione dei redditi di lavoro (e, quindi, il periodo di massima contribuzione degli individui coincide con l’età lavorativa adulta), mentre le punte massime della spesa pubblica si concentrano nelle due fasce estreme: la prima tra 0 e 20 anni e la seconda tra i 60 e gli 80 anni, con il secondo picco che supera abbondantemente il primo ed è in veloce ascesa”.

 

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