Il diario del Festival di Venezia/3 | T-Mag | il magazine di Tecnè

Il diario del Festival di Venezia/3

di Fabio Francesca

il giovane favolosoIl week end festivaliero coincide con la prima giornata di campionato, e così mentre i pub del lido la sera si riempiono, la mostra espone alcuni dei film più attesi.
Incominciamo subito a parlare degli italiani in concorso, il primo molto atteso, è Il giovane favoloso biopic di Mario Martone sulla vita di Giacomo Leopardi. Il regista continua nella sua opera di ricerca nelle radici della nostra nazione e, dopo il precedente Noi credevamo, racconta alcune fasi della vita del poeta di Recanati. Dal natio borgo selvaggio, all’ermo colle che da tanta parte lo sguardo esclude fino alla ginestra napoletana, il film intende sottolineare la natura intima del poeta, tracciando un’immagine di Leopardi come un uomo dedito a una costante aspirazione di libertà. Il film risente di una impostazione eccessivamente didattica, che non toglie peró quasi nulla alla godibilità dell’opera.
Il secondo film italiano in gara è Hungry hearts del regista Saverio Costanzo. La trama ruota attorno a una coppia, e alla spirale di follia che attorciglia la protagonista (Alba Rohrwacher) una volta divenuta madre. Un’ossessione di purificazione dalla società contemporanea, rappresentata dalla città di New York, che si esplicita in una repulsione per il cibo di origine animale. Opera alquanto criptica e ambigua.
Si diceva di giornate di opere particolarmente attese, come quella del regista turco-tedesco Fatih Akin che affronta uno dei temi più difficili del passato della Turchia: la questione armena. Fatih Akin si lascia alle spalle la pop Germania contemporanea descrivendo l’odissea del sopravvissuto Nazaret alla ricerca delle proprie figlie. Anche in The cut ritroviamo Il tema del viaggio come metafora della ricerca personale, topos della filmografia di Akin, ma questa volta abbandona la amata Istanbul per percorrere le desolate e mesmerizzanti lande dell’Anatolia. Vedendo il film si ha quasi l’impressione che le tematiche affrontate, così gravose e importanti, abbiano tarpato le ali al regista, che non concede nulla al suo stile e si lascia ad una garbata e classica rappresentazione dei fatti.
Infine chiudiamo con l’arrivo in laguna di uno dei più grandi interpreti della settima arte: il mitico Al Pacino. Qui a Venezia, sotto la guida di David Gordon Green, interpreta Manglehorn, ritratto di un anziano ferramenta che sembra essersi arreso alla sua vita. Il film pervaso di un magico calore e sorretto da una folgorante prova dell’attore newyorkese ben rappresenta uno classico esempio di cinema stile “Sundance”.
Nel prossimo appuntamento con il Festival di Venezia parleremo della grottesca Palermo di Franco Maresco e poi ancora dei film in concorso con due tra i favoriti per il Leone d’oro: Roy Andersson e Shinya Tsukamoto.

 

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