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Big Data: uno strumento su cui investire

di Matteo Buttaroni

internetNel mondo, ogni minuto vengono prodotti 1,7 milioni di miliardi di byte. Una mole di informazioni (Big Data) che, descrivendo digitalmente persone, momenti e tendenze, sono utilissime alle aziende per creare i propri prodotti in base ai gusti dei consumatori. Anche in Italia si comincia ad avere un occhio di riguardo verso gli strumenti in grado di analizzare questi dati, tanto da far crescere il mercato dei Big Data Analytics del 25% nell’ultimo anno.
L’8 dicembre abbiamo parlato dell’Internet delle cose e dell’interconnettività degli oggetti tra loro e con l’ambiente circostante. Una simile tecnologia non sarebbe possibile in assenza dei Big Data e di piattaforme per analizzarli, categorizzarli e infine utilizzarli. In poche parole i Bigdata sono l’insieme di dati strutturati (ad esempio i database), semi strutturati e destrutturati (come ad esempio la grandissima quantità di dati che circola nel mondo dei social network). Una quantità di dati troppo grande per essere analizzata dagli strumenti convenzionali, tanto da esser nato un nuovo business proprio intorno alle strumentazioni necessarie per manipolarli.
In Europa, pian piano (cioè non ai ritmi degli Stati Uniti) l’attenzione delle aziende si sta sempre più spostando verso il mercato dei Big Data, tanto che nel 2013 ha archiviato ricavi per 2,3 miliardi di dollari. Per il 2014 l’osservatorio dell’IDC (International Data Corporation, gruppo mondiale specializzato in ricerche di mercato, servizi di consulenza e organizzazione di eventi nei settori IT, TLC e consumer) stima una crescita dei ricavi a 2,9 miliardi di dollari e a 6,8 miliardi nel 2018.
In particolare la voce Software ha registrato ricavi per 698 milioni di dollari, quella dei Servizi 593 milioni, quella dello Storage 536 milioni, quella dei Server 314 milioni di dollari, le altre voci minori raggiungono altri 159 milioni di dollari.
Nel 2013 il valore totale mondiale del mercato dei Big data, sempre secondo IDC, è stato pari a 12,6 miliardi di dollari e secondo le previsioni potrebbe arrivare a generare, nel 2017, ricavi per 32,4 miliardi, crescendo nel periodo 2013-2017 con un tasso composto annuo del 27%.
Anche dal mercato italiano giungono numeri positivi. Secondo i dati dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence contenuti in uno studio promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, il mercato Big Data italiano nel 2014 ha messo a segno una crescita del 25%.
Ora, il problema italiano è sempre lo stesso: le aziende, grandi e piccole che siano, non investono quanto dovrebbero e in questo caso di investire in capitale umano adatto se ne parla ancora meno. Ne è una dimostrazione il fatto che solo il 17% delle imprese conta nel suo staff almeno un Chief Data Officer. Bassa anche la quota di Data Scientist, presente solo nel 13% delle aziende. Due professioni emergenti che però sono fondamentali per analizzare e rendere proficue le enormi quantità di dati raccolte dalle aziende. Addirittura il 73% delle aziende non prevede neanche l’inserimento di queste figure professionali nel breve periodo.
Altro campo sul quale il nostro Paese risulta indietro rispetto ai principali competitori è la tipologia di dati utilizzati: la maggior parte delle aziende italiane, l’84%, utilizza esclusivamente dati strutturati (provenienti dunque da database) e interni all’azienda, solo il 16% ha allargato il raggio d’azione ampliandolo anche a social network o, più in generale, al web.
Allargare ulteriormente il proprio raggio d’azione, sfruttando al massimo i Big Data, si tradurrebbe in una maggiore competitività. Per questo il 56% dei Chief information officer (CIO-in poche parole il direttore strategico dei sistemi informativi) italiani è convinto che gran parte degli investimenti del 2015 debbano essere indirizzati al campo dei Big Data.

(articolo pubblicato su Tgcom24 il 12 dicembre)

 

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