Cerimonia di fine anno al Quirinale, l’intervento del presidente Napolitano | T-Mag | il magazine di Tecnè

Cerimonia di fine anno al Quirinale, l’intervento del presidente Napolitano

Gli auguri che quest’anno ci scambiamo s’intrecciano strettamente con gli impegni che tutti condividiamo per il superamento degli aspetti più critici della situazione economica e sociale del Paese. E qui si collocano le difficoltà che ancora si oppongono alla realizzazione dei cambiamenti di indirizzo e strutturali programmati dal governo e sottoposti al vaglio delle Camere. Ringrazio il Presidente Pietro Grasso – oltre che per le sue così affettuose parole – per la rapida rassegna e sintesi che ce ne ha offerto: e esprimo il mio più vivo apprezzamento rivolto innanzitutto a lui stesso e alla Presidente Laura Boldrini, per l’intensità dei lavori del Senato e della Camera. La stessa giornata di oggi è dedicata a dibattiti e votazioni in Parlamento, il cui esito può incidere in modo significativo sulla prospettiva cui tendiamo nell’interesse dell’Italia. Ed è giusto che nelle rappresentazioni abitualmente così poco benevole dell’attività parlamentare si introduca una nota di rispetto per questo sforzo di laboriosità e dedizione dei nostri Deputati e Senatori di ogni generazione e di ogni parte politica.

Sta per concludersi l’anno 2014, che non è stato certo di ordinaria amministrazione per la politica italiana; e si concluderà tra poco, il 13 gennaio, col discorso a Strasburgo del nostro Presidente del Consiglio, il semestre italiano di presidenza europea. Non credo sia stata arbitraria la percezione, certo non solo da parte mia, che in quest’anno abbiamo ragionato, discusso e operato in una dimensione unica, italiana ed europea. I problemi dell’Italia, e le responsabilità del soggetto politico e istituzionale Italia, hanno fatto oggetto di serrata attenzione in sede europea, e discutendo tra noi dei nostri problemi non abbiamo potuto separarli dal contesto europeo di cui pure ci sentiamo protagonisti.

La difficile campagna elettorale per il Parlamento europeo e l’orientamento espresso in prevalenza dall’elettorato italiano, sono stati tappe dello stesso percorso che abbiamo cercato di aprirci per un cambiamento nelle politiche dell’Unione e nella guida delle sue istituzioni, che favorisse una svolta verso la crescita, l’avvio di un nuovo sviluppo economico e sociale anche per l’Italia.

Il forte consenso espressosi nelle elezioni del 25 maggio per il partito che guida il governo italiano ha oggettivamente garantito accresciuto ascolto e autorità all’Italia nel concerto europeo, come si è visto nel peso esercitato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi nel concorrere a soluzioni unitarie e significative nella definizione dei nuovi vertici dell’Unione, e innanzitutto nella composizione e nella guida della nuova Commissione. E lì si è anche espresso un rilevante riconoscimento per il ruolo del nostro Paese nella persona del ministro degli esteri Federica Mogherini chiamata a rappresentare, a far crescere e a dirigere la politica estera e di sicurezza comune europea.

Nello stesso tempo, durante il semestre della sua presidenza, il governo italiano, partendo dall’accurato lavoro preparatorio svolto dal precedente esecutivo, ha potuto operare validamente, e con senso di maggior sicurezza, in un clima nuovo di attenzione, per porre al centro dello sforzo comune esigenze, elaborazioni, proposte per un nuovo corso delle politiche finanziarie e di bilancio dei Ventotto, oltre i limiti divenuti soffocanti e controproducenti della “austerità”. Lo si è fatto presentandoci con le carte in regola per quel che riguarda il rispetto dei vincoli, ottenendo un via libera della Commissione ed evitando richieste di manovre di bilancio aggiuntive: e molto ha contato in questo senso, ancora fino alla riunione dell’EcoFin di qualche giorno fa, il valore e l’affidabilità che si riconoscono al ministro Pier Carlo Padoan.

A ciò deve naturalmente corrispondere la massima serietà dei nostri comportamenti effettivi, innanzitutto in Parlamento, sulla base delle scelte ed entro i limiti della Legge di stabilità, e il saper sempre di più passare ai fatti, il saper procedere con coerenza e senza battute d’arresto sulla via delle riforme.

Il tema delle riforme necessarie per determinare condizioni idonee allo sviluppo degli investimenti, alla creazione di nuovo lavoro, alla maggior produttività e competitività delle nostre economie, è stato, in un passato anche recente, prospettato con qualche nebulosità in ripetute discussioni nelle istituzioni europee, ma ha oramai assunto dei contorni precisi, un’ampia articolazione concreta. E in questo senso bisogna considerare il programma di riforme messo a fuoco dal Presidente Renzi e dal suo governo. Riforme su cui ogni forza politica potesse misurarsi, senza pregiudiziali e in termini di confronto tra visioni e approcci seriamente sostenibili. Si tratta di un programma vasto, da scaglionare nel tempo complessivo che lo stesso governo ha voluto assegnarsi: ma che ha dato il senso di quale cambiamento fosse divenuto indispensabile, e non più eludibile o rinviabile.

Ciò ci ha dato e può darci forza per concordare le correzioni e le novità da definire nei prossimi mesi – specie per quel che riguarda gli investimenti – al livello dell’Unione. Se ne stanno ponendo le premesse; le prime aperture non sono mancate, e un deciso ruolo in questo senso lo svolge il Parlamento europeo, la cui Commissione Economica e Monetaria è ora affidata alla guida dell’eurodeputato italiano Roberto Gualtieri.

Le prove che noi, sistema-Italia e democrazia italiana, abbiamo davanti sono ancora pesanti: il 2014 non si chiude bene, dal punto di vista dell’andamento generale dell’economia – mancata ripresa del PIL, andamento ancora negativo dei consumi; oscillazioni, con qualche instabile miglioramento, ma ad un livello insopportabilmente alto, della disoccupazione e soprattutto di quella giovanile; recessione più duramente radicatasi nel Mezzogiorno. È un quadro che potrà dare segni di inversione di tendenza nel 2015 e nel 2016, solo se non verrà dall’Italia – in un processo positivo di cambiamenti in sede europea – nessun affievolimento della linea di condotta complessiva su cui governo e Parlamento hanno in quest’anno mostrato di voler convergere e impegnarsi.

Due questioni più schiettamente politiche mi pare, però, che meritino di essere messe in evidenza. La prima è costituita dall’assoluto bisogno di esprimere fiducia non solo, in generale, sulle potenzialità dell’Italia – della nostra realtà produttiva, specie manifatturiera, della nostra imprenditoria e del nostro capitale umano, della nostra capacità di ricerca scientifica e innovazione tecnologica. Non è solo in riferimento a questi dati storici di carattere generale, che bisogna e si può seriamente esprimere fiducia, ma in rapporto a fatti concreti attuali, come l’andamento sostenuto dell’export più qualificato, una casistica ampia e varia di successi competitivi di nostre imprese ad alta specializzazione, ma anche segni concreti di apprezzamento e di interesse da parte di investitori stranieri. Da questi ultimi sono venuti non trascurabili apporti, negli ultimi tempi, alla soluzione di crisi aziendali che apparivano pregiudicate. Ecco, a questo proposito, non si può obbiettivamente negare la rilevanza e l’efficacia degli interventi accorti e tenaci del vertice del ministero dello Sviluppo Economico e della Presidenza del Consiglio in prima persona per risolvere con soddisfacenti intese le crisi di almeno quaranta aziende tra febbraio e novembre, non solo salvaguardando migliaia di posti di lavoro a rischio ma in qualche modo configurando importanti scelte di politica industriale.

La seconda questione politica che desidero mettere in luce – accanto a quella della fiducia – è costituita dal clima sociale indispensabile per poter portare avanti con coerenza la politica delle riforme programmate e l’azione di governo, in Italia e in Europa, in funzione del rilancio della crescita e dell’occupazione. C’è malessere diffuso tra milioni di famiglie impoverite, tra giovani che si vedono senza prospettive, tra lavoratori che sentono vacillare ogni sicurezza; c’è molta sofferenza autentica, e c’è dunque tensione, volontà di reagire, impulso di protesta più che di rassegnazione: non dico “rabbia” perché questo lessico non appartiene, credo, alla tradizione civile delle lotte operaie e popolari in Italia.

Ma, nell’insieme, ci deve preoccupare un clima sociale troppo impregnato di negatività, troppo lontano da forme di dialogo e sforzi di avvicinamento parziale che hanno nel passato spesso contrassegnato le relazioni sociali o politico-sociali. E allora dico – non solo ma anche ai sindacati, che sempre auspico (cosa volete, per un antico condizionamento di storia personale) costruttivamente uniti a cominciare dalle maggiori Confederazioni – allora dico: rispetto delle prerogative di decisione del governo e del Parlamento, senza improprie e devianti commistioni, e rispetto del ruolo che è naturale dei sindacati, di rappresentanza e – negli ambiti appropriati – negoziale; e sforzo convergente di dialogo anche su questioni vitali di interesse generale.

Governo, Parlamento, forze politiche: vengo a questo incrocio essenziale. Di qui si realizza o si insidia quel “passare ai fatti”, quel procedere con coerenza sulla via delle riforme, che ho indicato come imperativo del momento. È stato fatto, già dal governo precedente e con qualche mia convinta sollecitudine, un gran lavoro istruttorio su una certa progettazione di riforme. E – anche se talvolta poco valorizzando questo contributo istruttorio super partes – oramai dalla prima parte dell’anno si sta lavorando, discutendo, votando su progetti di riforma. Non si dica che c’è precipitazione, che si procede troppo in fretta: si è tornati, indugiandoci per mesi di discussioni, audizioni, tentativi d’intesa, su questioni di riforma in qualche caso individuate da decenni. Si sono poste le basi per un’ampia riforma del mercato del lavoro, aperta a molteplici esigenze di necessario rinnovamento, e divenuta improvvidamente oggetto di un’interpretazione riduttiva, concentrata sul punto di massimo possibile dissenso. Superato il rischio di quell’approccio strumentale (in qualsiasi senso) e deviante, la riforma è ora già alla vigilia delle sue specificazioni applicative attraverso i decreti delegati. Considero importante – e così lo considerano osservatori e partner europei – questo risultato.

Ma non posso ritenere convincente l’argomento, che pure circola, di una non importanza (né di possibile ricaduta benefica), invece, dal punto di vista della crisi economica e sociale, delle riforme istituzionali. Sembra quasi, a taluni, che il superamento del bicameralismo paritario sia un tic da irrefrenabili “rottamatori” o da vecchi cultori di controversie costituzionali. Mi si lasci dunque insistere per qualche minuto istante su questo tasto.

Impressiona, certamente, l’ignoranza o non considerazione del retroterra di quella questione del bicameralismo paritario. Padri costituenti tra i maggiori, da Meuccio Ruini a Costantino Mortati, e studiosi di generazioni successive ma legatissimi alla Carta del 1948, come Leopoldo Elia, parlarono di un punto debole della Costituzione repubblicana, di fallimento di ogni tentativo di razionale differenziazione tra le due Camere, e quindi di un ingombrante “doppione”. Chiunque tratti questa materia in Parlamento, non può considerarsi “nato ieri” (o magari nel febbraio 2013), avendo il dovere di farsi almeno superficiale conoscitore della storia, della dottrina, della prassi costituzionale del nostro Paese: conoscitore dunque anche dei precedenti della discussione sul bicameralismo paritario e dei tentativi, da trent’anni a questa parte, di individuare il modo di superarlo.

Comunque, se è tornato di attualità e si è deciso, dal governo Renzi (e già dal governo Letta), insieme con il Parlamento, di affrontare con urgenza il tema di questa riforma, ciò riflette qualcosa non più di “storico”, ma di attuale, concreto, drammaticamente necessitato. Perché di lì passa il recupero della agibilità e della linearità perduta del processo legislativo, da anni degradatosi qualitativamente e degenerato fuori di ogni correttezza costituzionale. Mi riferisco ovviamente all’abuso della decretazione d’urgenza, al ricorso – per la conversione dei decreti – a voti di fiducia su abnormi maxi-emendamenti, e anche al fenomeno di ostruzionismi ambiguamente rivolti a compromessi lesivi della chiarezza delle norme e della coerenza dei testi di legge che ne risultano.

In questo momento, non posso non richiamare quanti vogliano mantenere e far registrare dissensi su questa riforma a non farlo con spregiudicate tattiche emendative che portino a colpire la coerenza sistematica della riforma. Adoperarsi per tornare indietro rispetto alla oramai sancita trasformazione del Senato in espressione – come in altri Paesi europei – delle realtà regionali e locali con poteri legislativi rigorosamente ripensati e ridotti rispetto a quelli della Camera, significherebbe solo vulnerare fatalmente la riforma, il suo senso, la sua efficacia. Rispettare, pur nel dissenso, la coerenza delle riforme in gestazione – sul bicameralismo, sui rapporti tra Stato e Regioni, e anche sull’altro, fondamentale tema della legge elettorale – è un dovere di onestà politica e di serietà istituzionale.
Non si può comunque negare l’importanza delle ricadute di queste e altre riforme istituzionali sul funzionamento del nostro sistema-Paese e sulla forza di attrazione dell’Italia come luogo di investimenti e di proficue iniziative da parte di soggetti stranieri o in collaborazione con essi. Né si può sostenere che l’impegno di governo e Parlamento su questo terreno li abbiano distolti da interventi urgenti e scelte produttive di effetti già a breve termine per il rilancio dell’economia e dell’occupazione. Parla chiaro il dinamismo del governo sul piano di misure legislative e amministrative rivolte alle imprese, agli Enti locali, al sostegno – anche attraverso la Legge di stabilità – di settori e di progetti importanti.

Ho prima parlato di clima sociale. Vorrei ora dire qualcosa sul clima politico. Il governo ha enunciato puntualmente una non breve serie di azioni di cambiamento da condurre, dalla scuola alla giustizia. Ha mostrato, raccogliendo come si è visto un’aspettativa largamente maturata nel Paese, un tasso di volontà riformatrice e di determinazione politica e istituzionale, che ha riscosso riconoscimenti e aperture di credito assolutamente notevoli sul piano internazionale, i cui riflessi si sono già registrati in disponibilità di nuovi interlocutori dell’Italia a investire e operare da noi. Si sono in sostanza messi in moto processi di cambiamento all’interno, e un fenomeno di attenzione fiduciosa dall’esterno, che mi fanno registrare con un segno positivo la conclusione del 2014. Non si attenti in qualsiasi modo alla continuità di questo nuovo corso.

Perciò, preoccupazione costante per la continuità istituzionale e politica, ferma restando la piena legittimità dell’opposizione di legislatura che varie forze tendono a perseguire. Un’opposizione che non escluda le disponibilità già positivamente espresse per serie intese sulle riforme. Un’opposizione che tenga conto, con senso di responsabilità nazionale, delle sfide e dei rischi cui è esposta l’Italia, innanzitutto per la vicinanza e virulenza di fenomeni di tensione, di conflitto, di disgregazione non lontano dai nostri confini.

Sfide e rischi sul piano della sicurezza interna, cui bisogna dare maggiore attenzione non solo nel “giorno per giorno”, ma in termini strategici, dinanzi al manifestarsi e al fermentare di pulsioni violente e di tendenze alla delegittimazione delle nostre istituzioni, tra le quali le stesse forze di polizia.

Tutto ciò deve indurre al massimo senso del limite, al massimo rispetto della legge e del costume civile, nello svolgimento, non privo di incognite, della dialettica tra movimenti di opposizione e di protesta e autorità dello Stato garante dei diritti di tutti i cittadini.

E davvero occorrerebbe la più larga condivisione di responsabilità nel dare, dell’Italia che opera e discute, che si divide ma che sa anche essere unita per salvaguardare i suoi interessi vitali e la sua dignità, un’immagine seria. Non possiamo essere ancora – è vizio antico – il Paese attraversato da discussioni che chiamerei ipotetiche: se, quando e come si possa o si voglia puntare su elezioni anticipate, da parte di chi e con quali intenti; o se soffino venti di scissione in questa o quella formazione politica, magari nello stesso partito di maggioranza relativa. È solo tempo – e inchiostro – che si sottrae all’esame dei problemi reali, anche politici, che sono sul tappeto; è solo un confuso, nervoso agitarsi che torna ad evocare, in quanti seguono le vicende dell’Italia, lo spettro dell’instabilità. E il danno può essere grave.

Al contrario, un rispettoso e saldo ancoraggio al normale svolgersi della vita delle nostre istituzioni, c dalle Assemblee rappresentative alle istituzioni di garanzia, e un serio, non dispersivo e allarmistico, confronto sui temi di fondo e sulle prospettive reali che si presentano sul piano interno e internazionale, possono avere un valore decisivo per rafforzare la fiducia nell’Italia e per ridare alla politica il ruolo e il prestigio che è venuta perdendo. È così che si può contrastare la tendenza a scivolare da una critica, anche la più rigorosa, della politica verso una distruttiva anti-politica, che si risolve in patologia destabilizzante ed eversiva.

Essenziale è colpire ogni concreta corresponsabilità di soggetti politici nello scandaloso diffondersi della corruzione e del malaffare: colpendo i bersagli giusti, compresi gli intrecci con la criminalità organizzata – e l’intensità dell’azione repressiva di magistratura inquirente e forze di polizia è impressionante, anche per i suoi quotidiani successi. Solo le generalizzazioni improprie circa i comportamenti del mondo della politica vanno evitate perché fuorvianti e improduttive.

Dalla forte priorità da accordare a misure severe e scelte operative efficaci contro il mostro della corruzione e la piaga del malaffare, all’impegno su altri fronti importanti per un’azione sistemica di risanamento morale e di maggiore trasparenza nelle più delicate strutture dello Stato, è davvero un’opera di lunga lena, quella in cui ci stiamo necessariamente inoltrando. Basti citare i capitoli che si stanno aprendo di riforma della scuola e di riforma della giustizia.

E tutto richiede continuità istituzionale. A rappresentarla e garantirla mi ero personalmente impegnato ancora una volta, per tutto lo speciale periodo del semestre italiano di presidenza europea. E qualche giorno fa, in occasione dell’incontro italo-tedesco di alto livello a Torino da me aperto insieme con il Presidente Joachim Gauck, ho sentito come i nostri amici in Europa e nel mondo si attendano da noi precisamente questo: nuove, serie prove di continuità nel cambiamento. Non deludiamoli e non veniamo meno ai doveri che abbiamo verso il nostro Paese e il nostro popolo in frangenti tra i più complessi, e aperti nell’esito, che abbiamo vissuto.

Grazie – ancora una volta – per l’attenzione. Il mio caloroso augurio di Buon Natale e Buon Anno è rivolto alle vostre persone e alle vostre famiglie, all’Italia e all’Europa.

(fonte: Quirinale)

 

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