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Ripresa in vista, ma resta nodo lavoro

disoccupazioneDopo il tiro di sollievo per i dati sulla disoccupazione in calo a dicembre 2014 rispetto ai livelli record di novembre, le previsioni della Commissione europea lasciano l’amaro in bocca. Di fatto, prevedono a Bruxelles, la disoccupazione si attesterà in Italia al 12,8%, cioè +0,2% sul dato stimato a novembre (12,6%).
Per scendere ancora, al 12,6%, bisognerà attendere il 2016. In pratica, osservando le serie storiche dell’Istat, è dal mese di aprile 2013 che il tasso di disoccupazione si attesta costantemente su valori sopra il 12%. Di contro, i miglioramenti nel clima di fiducia tra le imprese coinvolte nei principali settori economici e le attese positive sull’occupazione, derivano quasi certamente dagli effetti sperati del Jobs Act e delle nuove regole per i neoassunti
Le stime del Sistema Informativo Excelsior di di Unioncamere indicano che nel primo trimestre dell’anno le aziende italiane assumeranno circa 209.700 individui lasciandone a casa 201.300. Di conseguenza i posti aggiuntivi che verranno creati tra gennaio e marzo saranno 8.400.
In un’ottica del tutto ottimistica, l’unico modo per riportare il tasso di disoccupazione intorno al 7%, quindi vicino ai livelli pre-crisi, sarebbe quello di creare quasi due milioni di posti di lavoro entro il 2020, come sottolineava alcuni mesi fa il Cnel nel suo Rapporto sul Lavoro. Secondo gli ipotetici scenari disegnati dal Cnel, solo per frenare l’aumento del tasso di disoccupazione è necessario creare almeno 582 mila posti di lavoro entro il 2020, mentre per portare il dato al 10% l’incremento degli occupati deve essere di almeno 1,2 milioni di unità (circa una crescita del tasso occupazionale dello 0,7% annuo).
Sono diverse le variabili che devono accompagnare il superamento della crisi occupazionale, a cominciare dall’andamento favorevole dell’economia. Una crescita lenta del Pil, ad esempio, non aiuta granché né crea automaticamente nuova occupazione. La Commissione prevede per l’Italia una crescita dello 0,6% quest’anno e al ministero dell’Economia assicurano che “con il consolidamento della ripresa l’occupazione aumenterà”.
È quello che si spera, anche perché una fase recessiva come quella che si è verificata negli ultimi tempi è, in genere, foriera di un tasso di posti vacanti – ovvero il rapporto percentuale tra i posti vacanti e la somma di posti vacanti e posizioni lavorative occupate – in calo. In Italia si è attestato stabilmente allo 0,5% nel 2014, secondo le rilevazioni Istat.
Ciò avviene quando la contrazione dell’economia crea aspettative negative alle imprese, che adottano allora una riduzione della produzione. Dunque non si cerca personale, né si rende possibile l’apertura di nuovi posti. Il trend può cambiare a patto che una ripresa duratura e condizioni più favorevoli alle imprese allo scopo di incentivare nuove assunzioni procedano di pari passo.
In più c’è da considerare che la crisi non ha provocato soltanto una diminuzione nel numero degli occupati, bensì uno stravolgimento delle dinamiche del mercato del lavoro. Dal 2008 ad oggi, le ore lavorate hanno subìto una contrazione pari al 9,4%, vale a dire -4,3 miliardi di ore lavorate. Non deve perciò stupire nemmeno la riduzione delle persone occupate a tempo pieno che nel periodo considerato sono diminuite di 1.690 mila unità a fronte dell’aumento degli occupati a tempo parziale, cresciuti di 675 mila unità.

(articolo pubblicato il 6 febbraio 2015 su Tgcom24)

 

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