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L’Italia investe in ricerca e sviluppo solo l’1,26% del Pil

università_ricerca1Dal Rapporto Noi Italia 2015 dell’Istat emerge ancora una volta come gli investimenti in ricerca e sviluppo nel nostro Paese siano ancora troppo esigui e quindi lontani dagli obiettivi fissati dall’Unione europea nella strategia Europa 2020. Una data, il 2020, entro la quale tutti i paesi dell’Unione devono portare la propria spesa in investimenti in R&S almeno al 3% del Pil nazionale.
Già nel Rapporto precedente l’Istat aveva rilevato che nel 2011 l‘Italia aveva destinato a R&S solo l’1,21% (corretto in base al Sec2010, il nuovo sistema dei conti nazionali) del Prodotto interno lordo restando molto lontana dagli ottimi risultati raggiunti dagli altri Paesi (Finlandia e Svezia su tutti perché avevano già superato la soglia del 3%): erano 16 i Paesi che riservavano a Ricerca & Sviluppo una quota del Pil superiore a quella italiana.
Nel 2012, anno al quale si riferiscono gli ultimi dati disponibili, le performance italiane sono lievemente migliorate. Mentre nel 2011 gli investimenti ammontavano a 19,8 miliardi di euro, lo 0,4% in meno rispetto al 2010, l’anno successivo si è registrato un aumento, del 3,5% in termini nominali e dell’1,9% in termini reali, a 20,5 miliardi di euro. L’incidenza sul Pil è invece aumentata di 0,05 punti percentuali attestandosi all’1,26%: ancora troppo indietro rispetto agli standard e alla media europea. Almeno nel 2012, erano infatti ancora sedici i Paesi che destinavano a R&S una quota del Pil superiore all’Italia e tre quelli che avevano già raggiunto e superato l’obiettivo del 3%, la media nell’Ue28 si attestava al 2,01% del Pil.
Rispetto all’anno precedente l’Istat ha rilevato una crescita degli investimenti da parte sia delle imprese, del 2,6%, che delle università, dell’1,4%, e, mentre anche la spesa sostenuta dalle istituzioni pubbliche lievita del 14,6%, scendono quelle di istituzioni private non profit, -8,4%. In termini di quota sul Pil il contributo del settore privato è salito allo 0,68% dallo 0,66% dell’anno precedente. Secondo la strategia Europa 2020 dovrebbe attestarsi al 2%.
Non essendoci dati confermati relativi al 2013 e al 2014, l’Istat ha però formulato delle stime: secondo l’Istituto nazionale di statistica la spesa in Ricerca & Sviluppo del 2013 dovrebbe scendere (in termini nominali) dell’1,5% rispetto al 2012 (-0,8% per la spesa destinata dalle istituzioni pubbliche, -4% dalle istituzioni private non profit, -0,8% dalle università e -1,8% dalle imprese). Le stime per il 2014 indicano invece un crollo, rispetto al 2013, di 1,9 punti percentuali per la spesa destinata dalle istituzioni pubbliche e una crescita di 1,4 punti percentuali per quella destinata dalle imprese.
Le cause degli scarsi investimenti da parte del settore privato italiano non sono però, secondo Confindustria, esclusivamente una scarsa visione delle possibilità che l’innovazione potrebbe portare (sia in termini di ricchezza che occupazionali), tanto meno la scarsa concorrenza interna e l’arretrata specializzazione settoriale. In poche parole l’Italia viene spesso additata come “arretrata”. Il problema è un altro: le imprese non riescono ad investire a causa della crisi economica. E la conferma è che quelle che ci riescono, investono. Secondo il centro studi ddi Confindustria, il settore che oggi rappresenta il motore della crescita italiana, ovvero quello delle imprese manifatturiere, è propenso eccome a investire in innovazione.
Stando allo studio il tasso d’investimento delle imprese manifatturiere italiane è tra i più alti al mondo. Con il 22,8% si piazza infatti avanti, per esempio, a Germania e Francia, ferme a 13%, ma anche avanti a Giappone e Stati Uniti, 21,1% e 19,2% . Ottimi risultati anche per quanto riguarda la quota delle imprese che investono: il 46% contro il 39% del Regno Unito e il 43% della Francia.
Secondo le rilevazioni del Censis, tra 2007 e il 2013, la mancata spesa cumulata per gli investimenti a causa della crisi economica è stata superiore ai 333 miliardi di euro. Quello che ora serve, in vista della ripresa, è incentivare gli investimenti perché diventino il vero motore: basti pensare che ogni milione di euro di investimenti in attività produttive, secondo uno studio della società McKinsey, equivale a circa 20 nuovi occupati. Senza contare il valore aggiunto in competitività che ne deriverebbe.

(articolo pubblicato l’11 marzo 2015 su Tgcom24)

 

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