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Usa ed Eurozona a diverse velocità

di Matteo Buttaroni

mario_draghiNel comunicato stampa ufficiale, diffuso a seguito della riunione del Consiglio direttivo, la Fed non esclude una possibile stretta monetaria, apprestandosi a metter “fine” al suo quantitative easing. Non che parli di rialzare subito i tassi d’interesse, ma lo esclude solo fino ad aprile, un mese dopo il quale potrà succedere di tutto. Tanto che nelle stanze della Banca centrale americana si prevede un cambio di rotta entro la fine dell’anno.
Ovviamente, come sottolineato altre volte, la numero uno della Federal Reserve, Janet Yellen, ha ribadito che “sarà appropriato alzare i tassi solo quando si vedranno ulteriori miglioramenti nel mercato del lavoro e quando la Fed sarà ragionevolmente fiduciosa che l’inflazione tornerà all’obiettivo del 2% nel medio termine”.
Certo è che le stime relative al mercato del lavoro sembrano remare nella giusta direzione: per l’anno in corso la Fed indica un tasso di disoccupazione negli Stati Uniti compreso tra il 5% e 5,2% (contro la forbice del 5,2-5,3% indicata a dicembre). Per il 2016 si aspetta invece un tasso compreso tra il 4,9% e il 5,1% (a dicembre le stime erano orientate verso il 5-5,2%). Tra il 4,8% e il 5,1%, invece, per il 2017.
Più lontano dagli obiettivi il tasso d’inflazione: per l’anno in corso la Fed avanza un range compreso tra lo 0,6% e lo 0,8% (contro l’1-1,6% stimato a dicembre) e tra l’1,5% e l’1,9% per l’inflazione core (al netto di energia e generi alimentari) del 2016. Per il 2017 le previsioni indicano invece una forchetta tra l’1,8% e il 2%.
Nel frattempo, nel Vecchio continente, la Bce ha dato il via, ormai da oltre due settimane, a quelle misure non convenzionali che la Fed si appresta invece a portare a termine (con il tapering, ovvero la progressiva riduzione degli stimoli monetari).
L’immissione di liquidità, attraverso l’acquisto di titoli di Stato, se accompagnato dalle riforme strutturali chieste dalla stessa Banca centrale ai governi nazionali e da forti piani d’investimento, potrebbe portare risultati analoghi come negli Stati Uniti.
Attraverso il quantitative easing la Bce metterà sul piatto 60 miliardi di euro al mese (la Fed iniziò con 85 miliardi di dollari), riducendoli progressivamente fino a settembre 2016 (ma si proseguirà nel caso in cui l’inflazione dovesse rimanere ben al di sotto della soglia del 2%) favorendo il deprezzamento dell’euro e mettendo più denaro a disposizione delle banche che, a loro volta, molleranno un po’ la morsa sul credito alle imprese e alle famiglie. Lo stimolo alla crescita potrà avvenire, qundi, tramite maggiori investimenti, una rinnovata competitività e rilanciando produzione e occupazione e, infine, i consumi.
Secondo l’Ocse, la spinta data dalle misure della Bce, alle quali si aggiunge anche il crollo del prezzo del petrolio, porterà l’economia dell’Eurozona a crescere dell’1,4% nel 2015 e del 2% nel 2016. Per la Bce l’economia dell’Eurozona crescerà invece dell’1,5% nel 2015, dell’1,9% nel 2016 e del 2,1% nel 2017.
Le stime sui prezzi al consumo, elaborate dalla Banca centrale europea, indicano invece un inflazione nulla per l’anno in corso, all’1,5% nel 2016 e all’1,8% nel 2017.

(articolo pubblicato il 20 marzo 2015 su Tgcom24)

 

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