La ripresa c’è, ma a passo lento
La ripresa c’è, ma a passo lento. E ancora molto c’è da attendere prima che la crescita torni ai livelli pre-crisi. Questo, in estrema sintesi, il resoconto nell’ultimo World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale. In pratica nelle economie avanzate, e ancor di più in quelle emergenti, il tasso di crescita non riuscirà nel medio periodo (più o meno fino al 2020) ad eguagliare i risultati raggiunti diversi anni fa.
Per quanto riguarda l’Eurozona, l’Istat parla tutto sommato di “cambio di passo in vista”. Ed è già qualcosa. Dopo il rallentamento dell’attività economica, registrato nel secondo e nel terzo trimestre del 2014, la produzione industriale ha poi accelerato nell’ultimo periodo dell’anno (+0,4%), tendenza che dovrebbe mantenersi costante, fatta eccezione per le costruzioni, anche nei prossimi mesi del 2015 grazie “alle migliorate prospettive di domanda esterna e interna”.
Allo stesso modo il Pil dell’Eurozona ha registrato una lieve crescita nel quarto trimestre dell’anno scorso, vale a dire +0,3% dopo lo +0,2% del precedente, trainato – spiega l’Istat – “in gran parte dalla solida, ancorché moderata, espansione dei consumi privati e delle esportazioni nette”. Dunque si attende un +0,4% per il primo trimestre, un’ulteriore crescita sostenuta soprattutto dal contesto internazionale (calo dei prezzi del petrolio e deprezzamento dell’euro).
Tutto ciò non è sufficiente, però. Il potenziale di crescita globale si manterrà, infatti, su livelli inferiori rispetto al periodo pre-crisi. In particolare, nonostante nelle economie avanzate sia previsto un leggero aumento (da una media dell’1,3% nel periodo 2008-2014 all’1,6% del periodo 2015-2020), la crescita non seguirà il passo degli anni addietro quando fu del 2,25% nel periodo 2001-2007.
Peggio dovrebbe andare alle economie emergenti – anche a causa di fattori quali invecchiamento della popolazione e freni strutturali alla crescita di capitale, osserva il Fmi – che subiranno un rallentamento della crescita al 5,2% tra il 2015 e il 2020 dal 6,5% del periodo 2008-2014.
Da Washington, non a caso, suggeriscono che “aumentare il prodotto potenziale” sia “una priorità”, per quanto i diversi paesi non necessitino delle medesime riforme. Ma è opportuno, in particolare nelle economie più solide, sostenere la domanda, favorendo così consumi e investimenti, nonché l’occupazione.
Uno scenario che prevede, dunque, cambiamenti e riforme. Un tema peraltro non nuovo: già nel 2013 il Dipartimento Economia e Finanze della Commissione europea aveva previsto che in uno scenario “no-policy change”, ovvero senza nessun cambiamento a livello di politiche condotte dai paesi dell’eurozona, le prospettive di crescita – il riferimento era ai successivi dieci anni – fossero decisamente più basse rispetto al periodo pre-crisi.
A differenza del Fmi, però, lo studio del Dipartimento Economia e Finanze della Commissione europea considerava, più o meno nello stesso lasso di tempo (2014-2023), una crescita media degli Stati Uniti più alta, o per meglio dire analoga al periodo pre-crisi, mentre quella dell’Europa pari a meno della metà di quella statunitense (+1% rispetto a +2,5%).
Ma su un punto convergono le analisi: senza politiche lungimiranti e riforme strutturali la crisi non verrà superata adeguatamente. Con un occhio di riguardo all’Eurozona, quest’ultima – era la conclusione degli autori del rapporto di Bruxelles – potrebbe tornare ai livelli di crescita pre-crisi solo dopo il 2023, nel momento in cui il contributo della lenta ripresa dell’occupazione e dei capitali tornerà a farsi sentire.
(articolo pubblicato il 9 aprile 2015 su Tgcom24)