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L’incertezza pesa sui consumi

Nonostante un contesto generale in miglioramento, la domanda interna per quest'anno si presenta ancora debole

carrello_della_spesaNotizie positive, altre meno. La produzione industriale sale a marzo dello 0,4% su febbraio e dell’1,5% sull’anno – un’ottima notizia, questa, essendo la produzione industriale un indicatore che riflette il reale andamento dell’economia – e secondo le stime dell’Istat la crescita, soprattutto a partire dal prossimo anno, sarà sostenuta anche dalla domanda interna oltre che dalla componente estera.
Osservando le attuali dinamiche della domanda interna, anche nella parte relativa ai consumi, l’apporto è ancora debole. L’indicatore dei Consumi Confcommercio (ICC), infatti, registra a marzo una variazione nulla rispetto allo scorso mese ed una crescita dello 0,4% tendenziale, “mostrando una stabilizzazione in termini di media mobile a tre mesi”.
Ricapitolando: il graduale trend di ripresa c’è, ma nell’ottica di un contesto generale (che pure mostra segnali di miglioramento) la fase socioeconomica che sta attraversando il nostro paese è ancora di incertezza.
Per quanto riguarda la tipologia di consumo in lieve ripresa da febbraio, spiega Confcommercio, gli alimentari, le bevande e i tabacchi (+0,2%), che recuperano in parte la perdita registrata nel mese precedente, i beni e i servizi per le comunicazioni (+0,1%). Una riduzione della spesa di scarso rilievo si è avuta invece per i beni e i servizi per la mobilità (-0,2%), anche se il mercato delle auto ha evidenziato negli ultimi mesi un’inversione di tendenza non affatto indifferente.
Anche per gli alberghi, i pasti e i consumi fuori casa, per i beni e i servizi per la cura della persona e per i beni e i servizi per la casa, la riduzione è stata molto contenuta (-0,1%). “La dinamica tendenziale, in crescita rispetto al mese precedente – conferma Confcommercio –, è invece il risultato dell’andamento positivo della sola domanda per i beni (+0,5%) mentre la domanda di servizi, dopo gli incrementi registrati nei primi due mesi dell’anno, è rimasta stabile”.
Le riduzioni hanno però riguardato, sempre su base annua, l’abbigliamento e le calzature (-0,8%) “segmento che, escluso il mese di gennaio tradizionalmente legato ai saldi, non mostra sicuri segnali di ripresa”. Contenuto, infine, è stato il calo della spesa per quanto riguarda i beni e i servizi per la cura della persona (-0,5%), gli alimentari, le bevande e i tabacchi (-0,3%), i beni e i servizi per la casa (-0,2%).
C’è, infine, un secondo indicatore che Confcommercio utilizza al fine di misurare il “sentiment”: il Misery Index, l’indice del disagio sociale. Anche qui le notizie non possono dirsi del tutto positive, anzi. A marzo, infatti, l’indice è passato a 21,1 punti, in aumento dello 0,6% rispetto al mese di febbraio. L’aumento, che poi è il secondo consecutivo, è una conseguenza – come spiega Confcommercio – della ripresa della disoccupazione e dell’uscita dalla deflazione dei beni ad alta frequenza d’acquisto. In pratica i miglioramenti fin qui osservati – compresi quelli riguardanti l’industria – non si sono tradotti in una reale ripresa dei consumi, né hanno prodotto effetti “apprezzabili” sui livelli occupazionali.

(articolo pubblicato su l’8 maggio su Tgcom24)

 

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