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Le aziende che tornano in Italia

di Mirko Spadoni

lavoro_impreseDopo aver trasferito la produzione all’estero, alcune imprese italiane hanno deciso di tornare nel nostro Paese. Alimentando così il Back reshoring, il fenomeno opposto alla de-localizzazione e che consiste nel rimpatrio di attività produttive trasferite precedentemente oltre confine.
Negli scorsi anni, infatti, alcune imprese italiane hanno trasferito (completamente o soltanto in parte) la produzione, affidandola a propri stabilimenti all’estero (in-sourcing) o a fornitori locali (out-sourcing). Salvo poi, in alcuni casi, decidere di tornare in Italia. Come dimostrato dai dati raccolti dall’Uni CLUB MoRe Reshoring, un centro di ricerca composto da docenti e ricercatori delle Università di Catania, L’Aquila, Udine, Bologna e Modena&Reggio Emilia.
Negli ultimi quindici anni, stando i dati aggiornati al 2014, settantanove imprese sono tornate nel nostro Paese, che è secondo soltanto agli Stati Uniti per numero di imprese che sono ‘tornate a casa’ (i casi censiti a livello mondiale sono stati 376). Ai 79 casi di Back reshoring ne vanno aggiunti dodici di Near reshoring, ovvero quando un’impresa decide di trasferire in un Paese vicino a quello d’origine gli impianti precedentemente de-localizzati in uno più lontano.
La stragrande maggioranza delle imprese italiane è tornata dall’Asia (il 51%) e dall’Europa orientale (26,7%) mentre la moda (43,5%) e l’elettronica-elettrotecnica (18,8%) sono i comparti maggiormente coinvolti dal fenomeno.
Come mai alcune aziende decidono di rientrare in Italia? I motivi sono diversi, spiega l’Uni CLUB MoRe Reshoring. Innanzitutto, il minor grado di controllo sulla qualità delle produzioni localizzate all’estero e la necessità di tenere vicine l’attività di Ricerca&Sviluppo e quella di produzione. Infine, i costi: un’impresa su cinque è tornata nel nostro Paese a causa dei costi logistici, di produzione e del lavoro.

 

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