“Una politica che guardi al rilancio dell’occupazione” | T-Mag | il magazine di Tecnè

“Una politica che guardi al rilancio dell’occupazione”

Di cosa si è parlato alla presentazione dell'indagine Tecnè-Fondazione Di Vittorio

camusso_fondazione_di_vittorio“Credo che bisogna andare oltre gli annunci e vedere concretamente se si sceglie di fare una legge di stabilità che guardi all’occupazione e al rilancio dell’economia, oppure una nuova forma di distribuzione a pioggia di risorse alle imprese senza nessun cambiamento per le condizioni del lavoro”. Il segretario della Cgil, Susanna Camusso, spiega quali dovrebbero essere gli interventi su cui concentrare i massimi sforzi. E lo fa a margine della conferenza stampa di presentazione dell’indagine Tecnè in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, Fiducia economica, clima sociale e i giudizi sul Governo e la Cgil, che si è tenuta lunedì 12 ottobre nella sede del sindacato di Corso Italia. Dai dati, nonostante i miglioramenti registrati in alcuni indicatori economici negli ultimi mesi, emerge un quadro sulla fiducia della popolazione, suddivisa per categorie sociali di riferimento (lavoratori dipendenti, pensionati, persone con reddito basso, precari, disoccupati, giovani), ancora a tinte fosche: una differenza netta tra la percezione della situazione economica del paese e il quotidiano, cioè la situazione economica della famiglia. “Le misure sul lavoro – osserva in particolare Camusso – hanno dato poche risposte ai giovani e non rappresentano una prospettiva per il futuro. I mutamenti sono avvenuti soprattutto per quanto riguarda i lavoratori 50enni e una scarsa apertura ai giovani”. C’è il tema della povertà, inoltre, che nel nostro paese è diventato prioritario, un tema che riguarda la politica economica: “Per questo non è il caso di fare annunci spot e parziali, ma affrontare il tema del contrasto alla povertà che deve essere fatto soprattutto attraverso misure di reinclusione”. Ad esempio trovando un rimedio all’abbandono scolastico, che rende più difficile la possibilità di entrare nel circuito del mondo del lavoro. “Servono da questo punto di vista interventi complessi”. In ballo anche la flessibilità pensionistica, che per il momento dovrebbe essere accantonata stando a quanto sostenuto nelle ultime ore. “È evidente che se viene detto che l’intervento sulle pensioni si farà nel 2016 è perché non si vuole investire delle risorse, si intende farlo a costo zero e scaricando un altro onere sui lavoratori e sulle lavoratrici che hanno già pagato un prezzo elevato in tema di previdenza. Riteniamo un errore rinviare la scelta”.

Come uscire dalla crisi, quindi? Si parla molto di abbassare le tasse, in particolare quelle sulla prima casa: “Qualcosa di già visto e sentito”, fa notare Camusso. Oppure si sostiene spesso che bisogna ridurre la tassazione alle imprese, mentre è più scarsa l’attenzione sul lavoro. Un annuncio positivo da parte del governo, però, c’è stato: “Una forma di sgravio fiscale a favore delle imprese che riguardi però gli investimenti e l’utilizzo degli utili negli investimenti, una cosa che noi chiediamo da due finanziarie fa. Allora se si vuole davvero favorire la ripresa, si deve ripartire dagli invetsimenti che nel nostro paese sono ancora troppo bassi”. Questo perché, aggiunge la numero uno del sindacato di Corso Italia, “bisogna concentrare le risorse lì e non continuare a distribuire risorse a pioggia che poi non hanno alcun effetto positivo sull’economia”. Per Camusso è necessario “chiudere” la forbice, sempre più evidente, che vi è tra la narrazione della condizione economica del paese e quella reale della famiglia. “La legge di stabilità dovrebbe essere il momento in cui si chiude tale situazione, visto che si delineano le scelte economiche del prossimo periodo. Le premesse non sono buonissime e questo sarà il terreno su cui si concentreranno le nostre attenzioni”.

L’illustrazione della ricerca Tecnè è stata anche l’occasione per presentare la nuova Fondazione Di Vittorio, che nasce dalla progressiva unificazione di tutti i precedenti enti della Confederazione (Associazione Bruno Trentin, IRES, ISF, SMILE), diventando così l’unico istituto nazionale della Cgil per la ricerca storica, economica, sociale e della formazione sindacale, come ha tenuto a precisare il presidente Fulvio Fammoni. La Fondazione, che ha fatto il suo esordio nella rinnovata veste con l’ultimo monitor in collaborazione con Tecnè, ha rilevato una situazione in chiaroscuro. Si scorgono miglioramenti per quanto riguarda la percezione della condizione economica generale del paese, ma il discorso cambia se c’è da fare i conti con le possibilità tangibili delle famiglie. Emerge perciò una discrepanza rispetto ai più recenti dati Istat? In effetti non sono mancate in queste settimane le polemiche sulla crescita del clima di fiducia registrata dall’Istituto. Due gli schieramenti in gara: da un lato chi ha ritenuto tutto ciò inverosimile, dall’altro chi ha approfittato per un racconto fin troppo ottimistico della ripresa italiana. “L’importante – chiarisce la materia il presidente di Tecnè, Carlo Buttaroni – è capire come sono composti i dati. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, che è tra i migliori istituti al mondo, nel periodo luglio-settembre la quota di famiglie che dichiara migliorata la propria condizione economica è pari allo 0,1%, mentre aumentano di molto quelle che dichiarano non essere cambiato nulla. In sette anni di crisi molte famiglie hanno pagato un prezzo durissimo. L’indice Istat dà quella crescita perché si tratta di un indice che potremmo definire “tendenziale”, cioè fa il confronto mese su mese con base di riferimento il 2010. L’indice che abbiamo adottato noi, invece, è di tipo congiunturale e racconta come la situazione cambia mese dopo mese. Quindi è vero che l’Istat registra un incremento dell’indice, anche secondo le nostre elaborazioni è così, ma in Italia prevalgono le risposte di chi sotiene che la situazione sia peggiorata. È importante capire bene questo passaggio perché il sentimento generale è ancora in grande sofferenza, in grande fragilità, in grande vulnerabilità. E si spiega proprio con i dati che fotografa l’Istat”.

 

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