Solo il 62% dei laureati è occupato
L’ultimo rapporto dell’Ocse, che ha passato in rassegna i sistemi scolastici dei 34 Paesi membri, non contiene dati particolarmente confortanti per l’istruzione italiana.
Secondo il report Education at a glance 2015 dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, ad esempio, nel nostro Paese gli insegnanti delle scuole primarie o dell’infanzia e delle scuole secondarie di primo e secondo grado guadagnano meno rispetto alla media Ocse e di quanti (sempre in Italia) possiedono qualifiche analoghe. Allo scarso riconoscimento economico va aggiunto un sistema che non premia la meritocrazia: nel nostro Paese lo stipendio degli insegnanti cresce soltanto all’aumentare dell’anzianità di servizio.
Le paghe di maestri ed insegnanti non sono le uniche ad essere particolarmente basse: la spesa per l’istruzione in Italia tra le più basse in assoluto tra i Paesi industrializzati e le conseguenze negative sulla qualità dell’istruzione stessa sono inevitabili. In Italia, ad esempio, il possesso di una laurea non garantisce un posto di lavoro. Anzi. Nel 2014 soltanto il 62% dei laureati d’età compresa tra i 25 e i 34 anni era occupato nel nostro Paese: cinque punti percentuali in meno rispetto al 2010 e il livello più basso nell’area Ocse, dove la media è pari all’82%.
Il basso tasso di occupazione tra i laureati italiani non è dovuto soltanto alla crisi economica, osservano gli analisti dell’Ocse. Il rapporto mette in discussione anche la qualità dell’istruzione italiana. Spesso i titoli di studio conseguiti nel nostro Paese non garantiscono competenze “solide” ed adeguate, tali da consentire un rapido inserimento dei giovani laureati nel mondo del lavoro.
Eppure facilitare la transizione scuola – lavoro è fondamentale per scongiurare l’aumento della disoccupazione di lunga durata (un giovane rientra tra i disoccupati di lunga durata, se è alla ricerca di un impiego da oltre sei mesi) che, nel lungo periodo, può deteriorarsi fino a trasformarsi in disoccupazione “strutturale”, slegata cioè dalla congiuntura economica del momento e per questo particolarmente allarmante. Il disoccupato di lunga durata ha minori chance di trovare un impiego rispetto ad altri: sia a causa della tendenza dei datori di lavoro a preferire i disoccupati di breve durata che in virtù del processo di deskilling, che consiste nel deterioramento delle capacità e delle competenze acquisite in precedenza.
Secondo un report della Commissione europea, studiare all’estero può facilitare l’inserimento del mondo del lavoro dei più giovani. Tra i laureati europei, osserva Bruxelles, i disoccupati di lunga durata risultano praticamente dimezzati tra i giovani che hanno studiato lontano dal proprio Paese, alcuni dei quali lo hanno fatto nell’ambito del progetto Erasmus. Questo perché chi completa la propria formazione all’estero diviene più ‘appetibile’ agli occhi di eventuali datori di lavoro, il 64% dei quali considera l’esperienza internazionale importante per le assunzioni.