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La strategia europea per il mercato unico digitale

ecommerceLa creazione di un mercato unico digitale europeo è ormai a un passo. Quello su cui ora è necessario concentrarsi è l’abbattimento delle barriere giuridiche nazionali garantendo da un lato la portabilità transfrontaliera di contenuti online – come quelli dei servizi di video o musica in streaming, che entrerà in vigore dal 2017 – e dall’altro il superamento delle leggi nazionali aprendo ad una serie di norme europee comuni per tutte le imprese che intendono vendere da un Paese all’altro all’interno dell’Ue.
La nascita di un mercato unico digitale è oggi un requisito fondamentale per rafforzare la competitività europea. Secondo le previsioni della Commissione europea, infatti, solo attraverso l’eliminazione degli ostacoli legati alla frammentazione giuridica del diritto contrattuale, le imprese potranno vendere più facilmente, mentre i consumatori potranno beneficiare di norme più semplici e prezzi più competitivi.
In cifre: oltre 122 mila imprese inizierebbero a vendere a consumatori di altri Stati membri dell’Unione, il numero di consumatori che acquistano da un Paese ad un altro in Europa arriverebbe a toccare le 70 milioni di unità, con un consecutivo aumento dei consumi di circa 18 miliardi di euro, garantendo così nuovi posti di lavoro e un gettito per l’economia europea di oltre 400 miliardi di euro all’anno.
Certo per raggiungere tali obiettivi è necessario che ogni Paese faccia la sua parte, per esempio investendo in tecnologie ITC. Rispetto ai maggiori Paesi dell’Unione europea, l’Italia è però ancora piuttosto indietro. Se la Germania, la Francia e il Regno Unito investono in Itc e servizi digitali, rispettivamente, il 6,9%, il 7% e il 9,6% del proprio Pil, in Italia a quota si attesta solo al 4,9%.
E i risultati si vedono: mentre nell’Unione europea – secondo l’Eurostat – la quota delle vendite elettroniche sul volume di affari totale è pari al 17%, in Italia si è attestata ad appena il 9%. Peggio del nostro Paese hanno fatto solo Romania (con una quota dell’8%), Cipro (6%), Bulgaria (5%) e Grecia (1%).

 

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