Il potenziale economico dello smart working
Nonostante non sia ancora diffuso tra le piccole e le medie imprese – c’è chi non sa nemmeno cosa sia -, lo smart working sta prendendo più piede tra quelle di dimensioni più grandi. Tanto che, prima della fine del 2015, il governo ha annunciato un disegno di legge (collegato alla Legge di Stabilità) per dare una sorta di ufficialità, e delle linee guida, a questa nuova formula occupativa.
Ma cosa si intende quando si parla di smart working? La definizione italianizzata è “lavoro agile” e sancisce un accordo, tra il datore di lavoro e il dipendente, che mette in discussione le tradizionali caratteristiche lavorative a favore di una maggiore flessibilità.
Sostanzialmente lo smart worker gode di una maggiore elasticità sia per quanto riguarda gli orari, sia sul luogo in cui svolge il suo lavoro. Grazie alle nuove tecnologie, come gli smartphone e i tablet, il dipendente può, infatti, svolgere le sue mansioni anche lontano dall’azienda cui fa riferimento. Dispositivi che, tra le altre cose, hanno consentito alle imprese – secondo il Polimi – di recuperare nove miliardi di euro di produttività (ovvero il rapporto tra la ricchezza generata e le spese sostenute dalle singole aziende).
In termini di risparmi – depennando dai conti i costi sostenuti per gli affitti, i ticket, le navette o i consumi energetici – secondo il Politecnico di Milano lo smart working genererebbe circa 37 miliardi di euro.
Nonostante i vantaggi solo le grandi imprese sembrano essersi accorte dello smart working: lo studio del Polimi spiega infatti che, mentre la quota di grandi imprese che hanno in atto progetti strutturati ed organici in smart working si attesta al 17% (in crescita rispetto all’8% del 2014), quella di piccole medie imprese è di appena il 5%.
Ma c’è di peggio: oltre una piccola e media impresa su due dichiara di non saper di cosa si tratta o di non essere interessata. Elevate anche la quote (rilevate da uno studio Adecco) dei lavoratori e dei reclutatori che non hanno mai sentito parlare dello smart working: rispettivamente del 67,7% e del 28%.
Proprio in tal senso verte il ddl “Lavoro Agile”. L‘intento del governo è appunto quello di diffondere la pratica dello smart working attraverso la stesura di una normativa che ne delinei, in qualche modo, anche le caratteristiche che lo rendono tale.