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Il silenzio delle innocenti

violenza-donne-2-3Provate a immaginare un mondo cupo, dove il terrore non è qualcosa d’improvviso e occasionale ma ripetitivo, costante, ossessivo.
Immaginate di vivere l’incubo di una violenza che non viene solo da “fuori”, ma nasce e si consuma all’interno dei luoghi più familiari e rassicuranti. E spesso ha un volto noto, consueto, abituale.
Immaginate una violenza che esplode senza preavviso, senza ragione. Provate a pensare cosa vuol dire avere costantemente paura, vivere una crescente insicurezza che si trasforma in ansia. E immaginate di perdere l’autostima, il senso della realtà, la capacità di definire quello che succede e dargli un significato. Provate a immaginare l’angoscia di un’esistenza parallela, opaca al mondo esterno; di provare vergogna per gli abusi subiti e custodire il segreto di violenze indicibili, perché il racconto può non essere creduto, oppure minimizzato e banalizzato proprio da quelle persone che dovrebbero rappresentare la vostra rete di protezione. Provate a vivere il senso d’impotenza e a pensare alla sensazione di essere presi in ostaggio da un nemico oscuro che vive sotto il vostro stesso tetto o nell’abitazione accanto.
Per quanto si possa immaginare tutto questo, non è mai abbastanza. Perché l’orrore delle vittime della “guerra silenziosa” che si consuma ogni giorno è inimmaginabile.

Vittime che sono accanto a noi, anche se non vediamo i segni delle ferite inferte nel profondo. Vittime di una violenza che si consuma prevalentemente tra le mura domestiche.
Sono quasi sette milioni le donne italiane che hanno subito violenza fisica o sessuale. Quasi una su tre. Ma è una stima per difetto, considerato che solo una minima parte dei reati emerge da quel muro di vergogna che avvolge questa tragedia.
Poi ci sono le pressioni e le violenze psicologiche, le privazioni, le umiliazioni di cui sono vittime altre tre milioni di donne. Complessivamente circa dieci milioni di donne sono sottoposte a una qualche forma di violenza.
Per capire la dimensione di questo fenomeno basti pensare che in Italia le vittime della seconda guerra mondiale sono state circa mezzo milione. Nel conflitto dei Balcani si parla di una cifra tra i 200 e i 300mila.
Il punto è che la violenza sulle donne è un dramma silenzioso e impalpabile, dalle forme nascoste e spesso difficili anche da contenere all’interno di perimetri giuridici certi.
Almeno all’inizio, come quando si esprime sotto forma di una sottile e insidiosa pressione, di scatti di rabbia, persino come una forma di possesso o di gelosia derubricata come “amore”.
E si riflette nella paura “di farlo arrabbiare”, di deluderlo, di sentirsi “stupida” nel contraddirlo, facendosi carico della sua aggressività. Ed è solo il principio di un percorso che distrugge la vita.

Se pensate che gli autori delle violenze siano brutti, sporchi e (apparentemente) cattivi, vi sbagliate. Nel quotidiano hanno un comportamento socievole e seduttivo, ma giocano con le emozioni degli altri per ottenere il raggiungimento di controllo e potere. Si credono superiori, vogliono che gli altri li riconoscano come tali e hanno bisogno di una costante ammirazione e attenzione.
Non cercano amore, di cui non conoscono il significato, ma rassicurazione nell’immagine idealizzata di loro stessi. Per questo è insopportabile che una donna li possa semplicemente criticare. E nel momento in cui una donna manifesta insofferenza, rifiuto oppure minaccia l’abbandono, esplodono in una rabbia devastante che può sfociare in qualsiasi cosa. Persino in omicidio. O femminicidio, come si dice oggi.
Sarebbe un errore immaginare che le donne che subiscono violenza siano persone deboli e predisposte a subire la loro condizione di vittime. Perché fragili lo diventano dopo. E spesso fino al punto di non saper riconoscere ciò che hanno subito. Le emozioni negative e i vissuti legati alla loro condizione sono talmente difficili da accettare che le spingono a non rivelare a nessuno quello che subiscono quotidianamente. Spesso a negarlo. Per questo raramente le vittime denunciano la violenza subita ma cercano di controllare il dolore, eliminandolo o minimizzando l’intensità di quello che provano.
La sofferenza più grande sta qui, nel rimanere immobili, senza capire come mai si è portate ad accettare una situazione che non può essere tollerata.

Si è spesso cercato di comprendere per quale motivo le donne che subiscono violenza in moltissimi casi non lo denunciano e non cercano aiuto. Ma più interessante è chiedersi per quale motivo i casi di violenza “sommersi” siano così “invisibili” al contesto familiare e ancor più sottaciuti dal contesto sociale che circonda le vittime. Si tratta d’ignoranza del fenomeno, o, invece, di una sorta di accettazione sociale, in particolare quando la violenza si consuma tra le mura domestiche?
Vi è tutta una seria di pregiudizi e stereotipi che spiega perché, nonostante la grande sofferenza che vivono, le donne impieghino molto tempo a cercare una via di fuga rispetto alla situazione in cui si trovano, tanto che alcune denunciano il compagno dopo molti anni di violenze.
D’altronde la costellazione di ostacoli che si ritrovano davanti è difficile da superare e non tutte possiedono le risorse necessarie (non solo quelle economiche) per intraprendere un cambiamento da affrontare, spesso, in solitudine.
Perché nel frattempo, infatti, le donne si ritrovano sole e senza amici, avendo subito anche un progressivo isolamento dal contesto di relazioni affettive. E più il partner ha un’identità sociale forte e gode di considerazione, più è difficile uscire dalla condizione in cui sono prigioniere, perché di fronte al consenso sociale di cui gode l’uomo, non riescono a far coincidere l’immagine pubblica del partner con quella privata.
Il favore di cui gode l’uomo all’esterno, nell’ambiente in cui vive, mette costantemente in dubbio la condizione di vittima della donna, esponendola a ritorsioni e al rischio di un ulteriore isolamento sociale.
L’emarginazione delle vittime è il miglior alleato dei violenti, e anche se è una guerra silenziosa, voltarsi dall’altra parte costituisce una responsabilità da cui nessuno è immune.

La ricerca Tecnè

Sono 6,8 milioni le donne che hanno subìto un qualche tipo di violenza fisica o sessuale in Italia, 4,4 milioni sono invece le donne minacciate, picchiate e costrette a subire soprusi. Sono alcuni dei numeri emersi dalla ricerca condotta da Tecnè in occasione della conferenza stampa, che si è tenuta nella Sala Nassirya del Senato, per la presentazione dei progetti della Nosostras Onlus.
Secondo l’Istituto di ricerca, che ha rielaborato i dati Istat per quanto riguarda l’analisi quantitativa del fenomeno, almeno un milione di donne sono state costrette a subire rapporti sessuali indesiderati, 1,2 milioni sono state vittime di uno stupro o di un tentato stupro mentre almeno 330 mila sono state costrette a rapporti sessuali umilianti. Elevata la quota delle donne che hanno subito violenza sessuale da parte del partner o dell’ex partner, pari a 2,9 milioni, e altrettanto elevati i numeri riguardanti le donne che hanno temuto per la propria vita e quelle che, di fatto, hanno riportato ferite: rispettivamente 2,5 e 2,6 milioni di donne. Nonostante siano 2,4 milioni le donne che hanno subito violenza, e considerano l’episodio un reato, solo 800 mila hanno sporto denuncia.
Ben 4,4 milioni di donne sono vittime di violenza psicologica da parte del partner attuale e addirittura in una coppia su quattro la donna subisce gravi situazioni di limitazione, controllo e svalorizzazione (200 mila le donne chiuse in casa o seguite dal partner quando escono, 50 mila le donne in coppia con figli che sono oggetto di minaccia e ritorsione).
Per quanto riguarda invece le opinioni dei maschi, rilevate direttamente da Tecnè tramite un sondaggio telefonico, risulta che il 18% degli uomini pensa che sia normale che un uomo tradito reagisca con atteggiamenti violenti. Non solo, il 10% ritiene giusto reagire violentemente nel caso in cui una donna manifesti atteggiamenti esasperanti. Altro dato allarmante è quello secondo cui il 13% degli uomini pensa che la violenza sessuale dipenda anche dal fatto che le donne usano abiti troppo provocanti.

Sfoglia l’indagine Tecné in Pdf

 

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