I possibili vantaggi del salario minimo
Il 1° aprile il governo britannico ha aumentato il salario minimo di tutti i lavoratori con più di 25 anni d’età, innalzandolo da 6,70 a 7,20 sterline l’ora. Si tratta di un aumento promesso da tempo dal premier David Cameron.
A differenza della Gran Bretagna, l’Italia – insieme a Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Svizzera – è uno dei pochi Paesi europei a non averlo ancora introdotto: nel nostro Paese, le parti sociali hanno sempre preferito trattare tra di loro e stipulare contratti nazionali che garantiscono (settore per settore) una retribuzione minima.
Eppure il salario minimo, che non va confuso con il reddito minimo garantito o quello di cittadinanza – il primo assegnato a chi rispetta determinati requisiti stabiliti dalla legge, mentre il secondo viene riconosciuto potenzialmente a tutti i cittadini –, potrebbe migliorare le condizioni di quei lavoratori (autonomi e dipendenti) che, pur avendo un impiego, percepiscono un stipendio molto basso: i cosiddetti working poor che in Italia, stando ad una recente analisi di Unimpresa su dati ISTAT, sono circa 6,1 milioni.
Seppure suggerita dalla Commissione europea – secondo Bruxelles, salari minimi di livello adeguato possono contribuire a evitare l’aumento della povertà lavorativa –, l’adozione del salario minimo dovrebbe essere accompagnata da alcuni accorgimenti.
Commentando l’introduzione della paga minima oraria in Germania, la ricercatrice ADAPT Silvia Spattini sottolineava che, secondo alcuni economisti, un salario minimo pari o superiore al 60% dello stipendio “mediano” – ovvero quello percepito dai lavoratori che si trovano al centro della distribuzione dei salari – produce effetti controproducenti sull’occupazione. Non a caso negli Stati Uniti il salario minimo è pari al 38% dello stipendio mediano e nei principali Paesi dell’Unione europea è al di sotto del 50%.