Il rallentamento del settore terziario nell’Eurozona
Il 2015 è stato, a tutti gli effetti, l’anno della risalita e a dirlo è stato recentemente anche il presidente della Bce, Mario Draghi. Ma tale risalita è stata messa comunque a dura prova dall’inflazione, che si è mantenuta costantemente su livelli molto bassi, rasentando la deflazione.
Tuttavia i consumi sono cresciuti nel corso dell’anno e hanno contribuito alla ripresa, sebbene ora in lieve frenata a causa proprio dell’andamento dei prezzi. Anche il mercato del lavoro ha fatto segnare dei progressi, che tuttora si osservano. A febbraio il tasso di disoccupazione nell’Eurozona, infatti, si è attestato al 10,3%, in diminuzione dal 10,4% di gennaio e soprattutto dall’11,2% di un anno prima, registrando così il valore più basso da agosto 2011.
In più il tasso di espansione economica, nel mese di marzo, è tornato a migliorare dopo i primi mesi del 2016 in rallentamento. Stavolta, però, la fase espansiva più consistente è stata registrata dal settore manifatturiero, che ha compensato il ritmo più lento del terziario.
Il settore dei servizi, in verità, aveva registrato già negli anni della crisi trend più positivi. In generale, infatti, è stato il segmento di attività economica che, meglio degli altri, aveva resistito all’impatto delle difficoltà emerse in questo periodo.
In Italia, per rendere l’idea, il mercato del lavoro relativo al settore dei servizi ha evidenziato una variazione positiva tra il 2008 e il 2015, a differenza dell’agricoltura o dell’industria che hanno invece registrato dei cali (talvolta elevati).
Quindi si è al cospetto di un’inversione di tendenza? Non sarebbe corretto metterla su questo piano. Ma di certo il settore ha subìto un rallentamento in Italia (l’indice Pmi ha frenato a marzo a 51,2 punti da 53,8 del mese precedente, il minimo da oltre un anno), in Francia (l’indice Pmi in questo caso si è attestato appena sotto la soglia base dei 50 punti, a segnalare cioè una contrazione, confermando la fase stagnante che sta interessando il paese) e in Germania, che però si mantiene a 55,1 punti (dal valore di 55,3 di febbraio).
A preoccupare, sul serio, è però l’inflazione di fondo (al netto, vale a dire, delle oscillazioni legate al petrolio). I timori riguardano eventuali ripercussioni su consumi e occupazione che una fase deflativa può provocare. Motivo per cui la Bce, pur rivendicando quanto fatto finora (sono recenti le nuove misure quali l’allargamento del Qe e l’azzeramento dei tassi), non ritiene di escludere un ulteriore impegno nel corso dell’anno.