I talebani e il traffico di eroina
Stiamo assistendo ad un grande ritorno: quello dell’eroina. Tra le varie conseguenze scaturite dal conflitto afghano, una su tutte sta riportando in auge la droga che tra gli anni ’70 e 80’ fece strage di vite e di menti, diventando un vero fenomeno sociale da combattere, anche in maniera drastica. In Afghanistan si produce l’85% dell’oppio a livello mondiale, produzione che negli anni passati aveva registrato una contrazione, ma che, in seguito alla guerra contro il regime instaurato dai Talebani, ha visto un aumento della produzione come non si vedeva da anni. Tra il 2002 e il 2014 sono aumentati gli ettari destinati alla produzione di oppio da 74.000 a 224.000. Secondo il rapporto Afghanistan Opium Survey 2015 dell’Ufficio per le droghe e il crimine dell’ONU (UNODOC) il valore degli oppiacei afghani esportati è stimato intorno a 1,5 miliardi di dollari. Il reddito netto derivante dalla coltivazione dell’oppio per ettaro è valutato tre volte superiore a quello della coltivazione del grano: 3.100 dollari contro 1.000 dollari. Ma non è solo l’aumento della produzione di oppio a far incrementare la disponibilità di eroina, guerre e instabilità hanno permesso l’aumento delle possibili rotte da seguire per il traffico illecito attraverso i labili confini presidiati da milizie e gruppi armati di ogni tipo.
Le rotte tradizionali del traffico internazionale di eroina sono quella Balcanica e quella definita settentrionale. La rotta balcanica attraversa Iran, Turchia, Grecia e Bulgaria, quella settentrionale passa per il Tagikistan, Kyrgyzstan e Kazakhstan per poi arrivare in Russia. A queste rotte, come evidenziato dal rapporto The Afghan opiate trade and Africa dell’Ufficio sulle droghe e sul crimine dell’ONU (UNODOC), se ne aggiunge una che interessa l’Africa. Ultimamente alcuni paesi africani sono diventati i principali punti di transito e arrivo dell’eroina afghana attraverso la penisola arabica. Secondo alcune stime l’11% dei tossicodipendenti a livello mondiale si trova proprio in Africa. Di questo 11%, il 55% risiede nei paesi dell’area orientale. Il consumo di eroina in Africa va di pari passo con l’espansione delle attività dei gruppi armati criminali e terroristici. Uno dei gruppi più operativi e meglio organizzati è quello dei nigeriani. In Pakistan, per fare un esempio, nel 2013 il 46% degli arrestati per traffico di eroina era di nazionalità nigeriana. Il coinvolgimento dei nigeriani risale alla diaspora dell’etnia Igbo in seguito alla guerra civile che ha devastato il Biafra, mentre nell’area orientale del continente africano risulta che milizie e gruppi somali legati al gruppo estremista “Al Shabaab” siano anch’esse coinvolte nel traffico illecito di stupefacenti. La rotta africana dell’eroina è opera dello Stato Islamico, i primi a lanciare l’allarme sono stati i russi che durante un consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno stimato in quasi un miliardo di dollari annui il fatturato dell’ISIS derivante dai suoi traffici. Fino al 2001 l’oppio era considerato dai leader Talebani come “haram” ossia contrario alle leggi dell’Islam, ma poi le cose nel giro di pochi anni sono cambiate. Secondo il rapporto UNODOC del 2009 i Talebani intascavano 22 milioni di dollari all’anno dai raccolti e 70 milioni di dollari per la protezione dei trasporti. Secondo una recente inchiesta del New York Times, l’attuale leader dei Talebani, Mullah Akstar Muhamad, fino a qualche giorno fa, prima che venisse ucciso da un raid americano, era all’apice della piramide tribale Ishaqzai, ovvero i tradizionali signori dell’oppio afgano. Il commercio dell’oppio è la fonte principale delle entrate dei talebani con il quale finanziano la guerra contro il governo di Kabul. Secondo le Nazioni Unite, nel 2014 la produzione di oppio ha fruttato circa 2,8 miliardi di dollari, cifra destinata a salire intorno ai 3 miliardi di dollari nel 2016.
Siamo in presenza di un fenomeno che analisti e ricercatori chiamano narcoterrorismo, ossia l’alleanza sul campo tra jihadisti e i cartelli dei narcotrafficanti. Ma il fenomeno del narcoterrorismo non è cosa nuova, il controllo della droga è sempre stato centrale nella gestione e nel finanziamento delle guerre. Nel 1975 vennero alla luce i primi legami tra terrorismo e trafficanti di droga: il siriano Ghassan al-Kassar, fratello del più noto trafficante di armi Munzer al-Kassar, si mise in contatto con la famiglia mafiosa siciliana dei Badalamenti e fu stilato un accordo che prevedeva ai siciliani l’eroina della valle del Bekaa, ai siriani le armi, armi che, secondo lo scrittore Manfred Morstein, ex agente segreto tedesco e autore del libro “The godfather of terror” del 1989, erano di provenienza italiana.
[…] balcaniche) rendono tutto più complicato. Ma il legame tra i narcotrafficanti e i terroristi non è propriamente una novità, […]