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Pro e contro del reddito di cittadinanza

Da inizio settembre le famiglie al di sotto della soglia di povertà relativa possono chiedere il sostegno d'inclusione attiva
di Silvia Capone

soldi_famiglie_crisiDal 2 settembre in Italia è possibile chiedere il sostegno d’inclusione attiva per quei nuclei familiari in gravi difficoltà economiche. Si è giunti a questa misura, prevista dalla legge di stabilità del 2016, dopo lunghi dibattiti su possibili provvedimenti per abbattere la situazione di povertà in cui versa il 7,6% della popolazione residente in Italia, incrementare l’occupazione e il consumo. La legge, che è stata da poco attivata nel nostro paese, è in ritardo rispetto allo scenario che troviamo nel resto d’Europa dove misure più estese d’inclusione sociale, quali il reddito minimo, sono già state adottate (tranne che in Grecia e, appunto, in Italia). Il reddito minimo garantito è una somma di denaro che lo stato elargisce mensilmente a tutti i cittadini che si trovano economicamente sotto la soglia di povertà relativa, è definito solitamente condizionato perché vincolante alla ricerca attiva di un lavoro e all’ammontare del reddito. Il passo successivo, non necessariamente migliore, che si attuerà in Finlandia è l’entrata in vigore del reddito di cittadinanza, ovvero una quota standard, maggiore di quel che è considerato il reddito minimo, che lo Stato versa a tutti i cittadini, siano essi ricchi o poveri, quindi indipendente dalla situazione economica dell’individuo e cumulabile con altri redditi (salariali o di rendita).
Questa proposta di legge, sperimentata già negli anni settanta in una cittadina del Canada, in Italia è stata avanzata dal M5S, che chiedeva un reddito minimo garantito a tutti i cittadini maggiorenni, non vincolato all’anzianità contributiva, ma a situazioni di studio o ricerca attiva di lavoro e al reddito.
Si tratterebbe comunque di una misura con un elevato costo economico, che potrebbe sì generare un aumento dei consumi, ma con il rischio che non si verifichino i presupposti per coprire e replicare la misura.
Per garantirsi un cospicuo rientro economico lo Stato dovrebbe perciò abolire qualsiasi altro tipo di sussistenza che già fornisce, smantellando gran parte del welfare state.
Di questo e molti altri fattori hanno tenuto conto i votanti in Svizzera, lo scorso anno, che tramite un referendum hanno espresso la volontà di non voler ricevere un reddito di cittadinanza incondizionato. Infatti la questione nel suo insieme non ha solo lati positivi, che di certo allettano a prima vista, ma si deve andar incontro alle reali implicazioni che potrebbero compromettere gli obiettivi previsti dalla legge di lotta alla povertà e l’aumento dell’occupazione.
In Finlandia si prevede che il reddito garantito possa incentivare i disoccupati ad accettare anche lavori stagionali, ora rifiutati pur di non perdere il reddito minimo, ma la garanzia economica ottenuta pur senza lavorare potrebbe avere l’effetto opposto e indesiderato di incoraggiare la preferenza per il tempo libero, comportando quindi un aumento degli inattivi (che non sono né occupati né disoccupati, perché non partecipano attivamente al mercato del lavoro).
Inoltre, essendo incondizionato, abbatterebbe la meritocrazia che sta alla base del reddito minimo, poiché ne beneficerebbe sia chi cerca attivamente lavoro, chi vuole lavorare, chi ha già versato contributi, che coloro che scelgono di non farlo, assecondando così la rinuncia al lavoro. È pur vero che estendere a ogni cittadino un reddito darebbe riconoscimento, dal punto di vista retributivo e personale, a quei lavori non considerati tali, ovvero a coloro che per scelta o per necessità si dedicano alla cura della famiglia, della casa e dei figli. In quest’ultimo caso la sicurezza economica sarebbe una nota positiva che eliminerebbe la pressione della dicotomia tra casa e lavoro.
Verrebbe così meno la questione economica che è tuttora alla base della scelta della professione, che potrebbe spostare l’asse della decisione “la scelta del lavoro” in “il lavoro come scelta”. Infatti la garanzia salariale, definita anche per questo “reddito di felicità”, permetterebbe ai lavoratori di non preoccuparsi del guadagno, ma solo della soddisfazione personale. L’aspetto negativo si avrebbe se il lavoro fosse reso una scelta opzionale, e non necessaria.
I lati negativi e positivi che fin qui si compensano dipendono unicamente dalle scelte personali degli individui e sono quindi difficili da prevedere. Un aspetto puramente economico di cui bisogna tener conto e derivante dalla distribuzione di un reddito a ogni cittadini di egual ammontare, è il mantenimento dello status quo. Cioè la stessa somma distribuita a tutti avrebbe gli effetti sperati contro la povertà relativa solo se i prezzi generali restassero gli stessi, in altre parole, se si aumentasse il reddito per chiunque nella stessa misura, l’incremento sarebbe nullo, le disparità si conserverebbero, spostando solo la soglia di povertà. Le conseguenze economiche sarebbero quindi irrilevanti.

 

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