Il Regno Unito alla prova Brexit
Il premier britannico Theresa May ha dettato i tempi: il Regno Unito farà appello all’articolo 50 del Trattato di Lisbona per uscire dall’Unione europea (e dare così un seguito alla vittoria del “leave” al referendum di giugno) entro la fine di marzo 2017 e da quel momento avrà circa due anni per rinegoziare trattati e accordi con l’Ue. In verità i trattati e gli accordi che il Regno Unito dovrà rinegoziare saranno di più, a cominciare da quelli commerciali che presto perderanno valore proprio a causa dell’uscita dall’Unione europea. May si è mostrata ottimista, nella convinzione di riuscire a rendere il processo di Brexit quale un’opportunità per l’economia britannica, ricordando che diversi paesi hanno già mostrato interesse a stringere rapporti di libero commercio.
Intanto una prima reazione ha riguardato la sterlina, in calo sui mercati dove ha ceduto lo 0,8% a 1,2865 verso il dollaro e ha toccato il minimo dei tre anni contro l’euro a 0,8747 sterline. Sterlina debole e qualche investimento in meno sono tra i primi contraccolpi osservati già l’indomani del referendum. Ma in generale, rispetto agli scenari nefasti della vigilia, l’economia britannica non sembra passarsela tanto male.
Si confermano i dati macroeconomici al rialzo, con il Pil cresciuto del 2,1% nel secondo trimestre (+0,7% trimestre su trimestre). Certo le prospettive di crescita ora si riducono, ma secondo le previsioni di Standard & Poor’s l’aumento del Pil sarà dell’1,8% per quest’anno, dell’1% nel 2017 e dell’1,1% tra due anni.
Il mercato del lavoro britannico resta tra i più dinamici in Europa, con il tasso di disoccupazione stabile al 4,9%. In più l’attività manifatturiera (indice Pmi) è tornata a crescere dopo il minimo di tre anni (comunque in territorio positivo) segnato a luglio. Il Pmi manifatturiero si attesta così a 55,4 punti dai precedenti 53,4 punti.
C’è una spiegazione a tutto questo: la svalutazione della sterlina. Infatti a trainare la risalita dell’attività manifatturiera sono stati soprattutto gli ordini provenienti dall’estero. In questo senso le ridotte prospettive di crescita sono dettate dalla domanda interna più debole, poiché la svalutazione della moneta innescherà un calo del potere d’acquisto e dei consumi. Ma è probabile, allo stesso tempo, che avrà un impatto positivo sull’export.