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Usa 2016. “Vi spiego il fenomeno Trump”

Intervista a Luciano Tirinnanzi, direttore responsabile di LookOut News e co-autore di "Trump vs. USA", una guida alle elezioni presidenziali 2016
di Mirko Spadoni

Nate Silver, 38 anni, sostiene che, con molta probabilità, Hillary Clinton sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti e, forse, dovremmo credergli. Silver ha creato un sistema statistico, con il quale ha indovinato i risultati delle ultime due elezioni per la presidenza degli Stati Uniti. Nel 2008 ha azzeccato il risultato elettorale in 49 Stati su 50, mentre nel 2012 ci è riuscito in 50 su 50 (più il distretto di Columbia). Secondo la media dei sondaggi calcolata da RealClearPolitics, aggiornata al 4 novembre, Trump ha recuperato terreno nei confronti del suo avversario ed è ora al 45,3%, a 1,3 punti percentuali di distanza da Clinton. Tuttavia, indipendentemente da quello che sarà l’esito finale – Nate Silver ci stupirà ancora una volta? –, l’8 novembre si concluderà una corsa alla Casa Bianca che è stata molto diversa dalle altre: “Non vorrei accodarmi al mainstream giornalistico, ma devo ammettere che questa è la campagna peggiore degli ultimi anni, sotto ogni punto di vista”, osserva Luciano Tirinnanzi, direttore responsabile di LookOut News e coautore di Trump vs.USA, una guida alle elezioni presidenziali 2016. I motivi sono diversi, sostiene: “Il basso profilo dei candidati, la mancanza di contenuti offerti, l’assenza totale di trasparenza, l’abuso di demagogia e di quei vecchi trucchi della politica, la rissa continua e la scelta consapevole di dividere l’opinione pubblica”.

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Il risultato, prosegue Tirinnanzi, è stato inevitabile: “Tutto questo, anziché unire il popolo americano intorno al futuro leader, ha diviso il paese come poche altre volte e ha oscurato completamente i valori promossi tanto dai democratici quanto dai repubblicani, cancellando ogni speranza di ottenere delucidazioni sui programmi politici che i due candidati intendono portare avanti una volta approdati alla Casa Bianca. Tutto ciò ha stancato l’elettorato attivo, che mostra una sempre più preoccupante disaffezione nei confronti delle istituzioni e che, anche per tale ragione, il prossimo 8 novembre potrebbe decidere di votare Donald Trump: non come segno di fiducia nei suoi confronti, ma solo per dare il ‘bel servito’ al sistema che anche Hillary Clinton rappresenta, in quanto in continuità con l’Amministrazione precedente. Questo atteggiamento psicologico, talvolta inconsapevole, va oltre il populismo: è più precisamente un chiaro segno di perdita di fiducia che a sua volta deriva dalla scarsa credibilità della politica americana, un segnale pericoloso anche nel caso in cui vincesse Clinton”. Secondo Tirinnanzi, “il malessere, infatti, permarrà anche con lei alla Casa Bianca, e non so quanto sottotraccia”.
Il 16 giugno 2015 Donald J.Trump ha annunciato la sua candidatura alle primarie repubblicane. Il 21 luglio dell’anno successivo, al termine della convention del Partito repubblicano, a Cleveland, in Ohio, ne è diventato ufficialmente il candidato. Qual è stato il motivo del suo successo? “Trump si è spinto ben oltre le consuetudini repubblicane, portando all’estremo la narrazione della sua visione politica, facendo leva sui bassi istinti per convincere la base e sconfessando il partito”, osserva Tirinnanzi.

“Le conseguenze sono evidenti: una larga parte del popolo repubblicano – quello più conservatore, qualunquista e solitamente poco interessato alla politica – lo ha seguito in maniera fideistica e si è recato convintamente a iscriversi alle elezioni. Solo l’establishment di Washington D.C. e i circoli intellettuali di Georgetown resistono all’ascesa di Donald Trump, ma non perché disprezzano le sue parole, è solo che ne temono le conseguenze. Hanno paura che Trump gli scippi il partito. Questa ipocrisia di fondo però gli si sta ritorcendo contro, perché il popolo repubblicano sta con lui. Ma i vertici del GOP hanno finto di non vedere la sua rivoluzione, che fa leva sul malessere della base elettorale. Tutto questo rischia di far implodere un partito plurisecolare. Avrebbero potuto includerlo nel ‘club’ ma lo hanno estromesso, una mossa azzardata che ora potrebbe in un solo giorno togliere ai repubblicani il potere tout court se perderanno: legislativo, cioè la maggioranza al Congresso; esecutivo, cioè il governo; e anche giudiziario, visto che il prossimo presidente dovrà nominare il nono giudice della Corte Suprema, decretando una maggioranza dei repubblicani o dei democratici in seno all’istituzione forse più importante degli Stati Uniti”.
Il cammino di Trump è stato tutt’altro che agevole. Anzi. Le critiche (inevitabili) dei suoi avversari non sono stati gli unici ostacoli, però. Non devono essere dimenticate le numerose inchieste sul suo conto condotte dalla stampa statunitense. L’ultima in ordine cronologico è di Slate, secondo cui Trump avrebbe utilizzato un server privato riconducibile alle sue società per comunicare con Alfa Bank, una banca russa considerata vicina al presidente russo Vladimir Putin. Al di là degli endorsement – negli States, in occasione di un elezione, a volte la stampa esprime il suo appoggio in favore di uno dei candidati –, Tirinnanzi sottolinea che i media americani potrebbero aver perso la loro “obiettività”.

Il motivo? “I media in questa elezione sono smaccatamente schierati a favore della Clinton, nonostante l’ex segretario di Stato non sia certo un politico esemplare e senza macchia”, sottolinea. “Come se ci fosse un’emergenza nazionale, tutti sono fuggiti da quello che è stato dipinto come un ‘Hitler’ col cappello da cow-boy e si sono gettati in mano alla più rassicurante ‘big girl’ americana. Ma vale la pena ricordare che questo è squalificante sia per quella che ambisce a essere una stampa neutra sia più in generale per quella che si definisce la prima democrazia del mondo”. “Che attendibilità potranno avere d’ora in avanti le informazioni che ci vengono dal New York Times o dalla CNN, dopo che abbiamo scoperto quant’è facile che si schierino smontando ogni regola giornalistica e ogni velleità di politically correct? Si aggiunga che se negli anni Ottanta il 90% dei media negli Stati Uniti era controllato da 50 società, oggi la stessa quota è sotto il controllo di soli sei potenti gruppi – CBS, Comcast, News Corporation, Time Warner, Viacon e Walt Disney – tutti schierati pro Hillary Clinton. I media americani hanno perso attendibilità e, soprattutto, indipendenza”.
“Un suicidio davvero inaspettato”, conclude Tirinnanzi che non considera un eventuale successo di Trump come un pericolo. “Non sarà un successo come fu per l’outsider Ronald Reagan, ma neanche un presidente che sgancia l’atomica per capriccio. Penso più a un quadriennio molto rivolto agli affari interni, che non alla politica estera. Il che, una volta tanto, per il resto del mondo non sarebbe male. E poi, tra quattro anni, se ne riparlerà”.

Le puntate precedenti:
Usa 2016. La cultura hip hop negli anni di Obama
Usa 2016. L’America si prepara al voto
Usa 2016. L’ultimo duello Trump-Clinton
Usa 2016. I media al fianco di Hillary
Usa 2016. Il difficile weekend di Trump

 

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