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L’Italia torna in deflazione. Perché non è un bene

I dati Istat: l'indice nazionale diminuisce dello 0,1% su base mensile e dello 0,2% su base annua
di Redazione

Viene confermato dall’Istat il dietrofront nel mese di ottobre dell’indice dei prezzi al consumo, che mostra tendenze deflazionistiche dopo la (timida, tuttavia) risalita registrata a settembre (+0,1%). Un aspetto da non trascurare, considerate le ripercussioni che una fase di deflazione – soprattutto se prolungata – può avere su un’economia.

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Sappiamo che è nelle prerogative della BCE (Banca centrale europea) conseguire un tasso di inflazione appena inferiore al 2% nell’Eurozona, eppure le recenti politiche monetarie espansive dell’istituto di Francoforte hanno faticato a dare i risultati sperati. La debolezza della domanda di beni e servizi, infatti, è la prima causa della deflazione, che porta i consumatori a rinviare gli acquisti in quanto l’abbassamento dei prezzi incentiva l’accumulo di liquidità nell’attesa che questi scendano ancora.
In altre parole, quella che si va ad innescare durante una tendenza deflazionistica è una spirale negativa i cui effetti possono definirsi deprimenti con conseguenze (negative) sull’intera economia, produzione, occupazione e consumi in particolare.
Dai dati Istat emerge che l’indice dei prezzi al consumo diminuisce dello 0,1% su base mensile e dello 0,2% su base annua (mentre la stima preliminare era -0,1%): “La flessione tendenziale dell’indice generale continua a essere determinata dai Beni energetici il cui calo si accentua lievemente (-3,6% dal -3,4% di settembre) per effetto di una più intensa flessione dei prezzi di quelli regolamentati (-6%, era -3,8% a settembre) e di un parziale rientro della contrazione dei Beni energetici non regolamentati (-0,9%, da -2,7% del mese precedente)”.
Cosa preoccupa, soprattutto, al netto dei risultati in definitiva positivi registrati a settembre, in Italia e nell’Eurozona? Una prima risposta l’Istituto nazionale di statistica l’aveva data nella consueta nota mensile sull’andamento dell’economia.
Le pressioni deflative, spiegava, continuano a provenire dalle componenti maggiormente volatili. Quest’ultime riguardano ad esempio i beni energetici e gli alimentari. Sono soprattutto gli energetici, come si è visto, a rappresentare un freno all’inflazione, ma le preoccupazioni maggiori risiedono nella decelerazione osservata nell’inflazione di fondo (al netto, cioè, delle componenti più volatili), vicina allo zero.
Le banche centrali decidono le misure di politica monetaria sulla base delle stime dell’inflazione attesa. Nell’Eurozona, dove a lungo si sono osservati livelli piuttosto bassi, l’andamento è ora in rialzo, +,05% tendenziale a ottobre (lo scopo del quantitative easing, il programma di acquisti di titoli di Stato della Bce, è proprio questo: stabilizzare i prezzi e riportarli su valori prossimi al 2%). Al contrario l’inflazione acquisita per il 2016 dell’Italia risulta pari a -0,1%, confermando così la prolungata fase deflazionistica che sta interessando il nostro paese.

 

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