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Il ciclo di vita lavorativo in Italia è tra i più corti in Europa

Tra i fattori che incidono anche la permanenza o l'accesso al mercato del lavoro
di Redazione

In attesa dei nuovi dati su occupati e disoccupati dell’Istat, il mercato del lavoro italiano (sebbene in miglioramento rispetto agli anni più duri della crisi) continua a mostrare dei ritardi “accessori”, a conferma di uno stato di salute ancora poco convincente. La recente indagine dell’Eurostat sul ciclo di vita lavorativo è un esempio che va in questa direzione.

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A settembre l’Italia è stato il paese che ha registrato il maggior aumento della disoccupazione (+0,2%) al cospetto di un livello medio nell’area Ocse rimasto stabile, al 6,3%. Ma contestualmente è stato rilevato un aumento dell’occupazione a fronte di un calo importante degli inattivi: non necessariamente una cattiva notizia, quindi.
Ma in generale quelle che restano le categorie più distanti dal mercato del lavoro, entrando così nell’area dell’inattività (molte persone si trovano nella cosiddetta “zona grigia”, cioè classificate come inattive perché non in cerca ma che potrebbero risultare impiegabili), rappresentano un problema di non poco conto. Il ciclo di vita lavorativo italiano, afferma l’Eurostat, è il più corto in Europa.
In Italia si lavora in media 30 anni e sette mesi, quando la media europea è di 35 anni e quattro mesi. Tra il 2005 e il 2015 la vita lavorativa si è allungata un po’ ovunque, anche in Italia (di poco più di un anno), ma da noi meno che nel resto dell’Unione europea. Allargando il panorama, emergono due velocità nel Vecchio continente: in Germania, Regno Unito e paesi scandinavi si lavora di più; in paesi come Bulgaria, Croazia Grecia, Italia, Romania e Ungheria il ciclo di vita lavorativa non è altrettanto longevo.
Non si tratta di una questione legata esclusivamente alle politiche pensionistiche, però. Dunque concorrono altri fattori quali la permanenza o l’accesso al mercato del lavoro. Variabili che hanno interessato (e interessano) l’Italia da molto tempo e in particolare proprio negli anni della crisi.
Nel nostro paese, ad esempio, si è registrata l’anno scorso una diminuzione della quota dei giovani che lavorano a quattro anni dal diploma. Oppure pesano i molti casi di disoccupazione di lunga durata (quella condizione che coinvolge le persone in cerca di impiego da almeno 12 mesi).
Il numero dei senza lavoro di lungo periodo è lievitato negli anni scorsi, tuttavia cominciando a mostrare una diminuzione nel terzo trimestre 2015, dopo l’aumento ininterrotto dal 2008 al 2014. Nel secondo trimestre del 2016 l’Istat ha stimato a 1 milione 758 mila il numero di persone in cerca di occupazione da almeno 12 mesi (-87 mila su base tendenziale), la cui incidenza sul totale dei disoccupati cala al 58,7%, -0,7 punti in un anno.
Un’assenza prolungata dal mercato del lavoro contribuisce così alla minore aspettativa di vita lavorativa in Italia rispetto alla media europea. Un altro aspetto non trascurabile in questo senso è la differenza tra la componente maschile e quella femminile, con la prima che si attesta a 35,4 anni e la seconda a 25,7.

 

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