Depressione: numeri e costi della “disabilità nascosta”
Il volo della compagnia aerea Germanwings che precipitò sulle Alpi francesi il 24 marzo 2015 provocando la morte di 150 persone, compreso il copilota il cui stato depressivo decise la tragica fine dei passeggeri, è stato il pretesto per una ricerca dell’Università di Harvard su migliaia di conducenti di aerei di linee commerciali. L’indagine, pubblicata nei giorni scorsi, è stata condotta attraverso questionari anonimi inviati a migliaia di piloti, di cui solo 1.848 hanno compilato la sezione che concerneva il loro stato di salute mentale. Di questi 223 hanno manifestato sintomi di depressione e 75 hanno confessato di avere pensieri autolesionisti o di aver pensato al suicidio.
La maggior parte delle persone a rischio, però, non osa parlarne anche per il timore di perdere il lavoro. Ovviamente la depressione non colpisce solo chi lavora nell’aviazione, ma interessa indistintamente categorie sociali e contesti culturali differenti. In Italia la malattia colpisce circa 4,5 milioni di persone e solo 1 su 3 riceve cure adeguate: è ritenuta dagli italiani al secondo posto per impatto percepito sulla vita del paziente (è quindi la malattia che spaventa di più, seconda solo ai tumori). Mentre secondo le stime dell’OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità, la depressione nel 2015 ha interessato 350 milioni di soggetti in tutto il mondo ed è socialmente temuta perché ritenuta responsabile di 850 mila morti l’anno. I dati generali rispecchiano quelli riscontrati nella ricerca di Harvard, secondo cui sono allo stesso modo le donne le più a rischio: nel caso italiano ne sono affette con un rapporto di 2:1 rispetto agli uomini. Le cause della maggior predisposizione sono riscontrabili nel gap salariale, nelle molestie verbali che si manifestano nel luogo di lavoro, ma soprattutto nel loro ruolo che cambia; il genere femminile ha, infatti, acquistato nell’ultimo mezzo secolo maggiori responsabilità lavorative e incarichi professionali che si aggiungono al lavoro domestico. Il surplus di lavoro è stato giudicato dal 57% delle donne intervistate dall’indagine di ONDA, l’osservatorio nazionale sulla salute delle donne, come fonte di depressione. Il cambiamento del ruolo sociale della donna è simultaneamente anche una delle cause della depressione maschile in quanto, in determinati casi che presentano una patologia in questo senso, l’uomo si vede svuotato dal suo compito fondamentale di breadwinner. In generale la causa più comune, e anche quella socialmente più accettata, è di natura economica. Proprio per questo motivo la depressione si osserva maggiormente in persone in stato di povertà relativa che abitano in paesi economicamente avanzati. Si stima che il 15% di individui che vivono in paesi sviluppati ha sofferto di disturbi depressivi, contro una media dell’11% degli abitanti di paesi in via di sviluppo o poveri. In Italia la crisi del 2008 ha avuto un ruolo fondamentale nell’incrementare i casi di depressione nel nostro paese, come in Spagna e in Irlanda. L’elemento economico non è solo causa, ma anche conseguenza della depressione, che viene anche chiamata “disabilità nascosta” e costa quasi 250 miliardi di dollari l’anno alle economie di Brasile, Canada, Cina, Giappone, Corea, Messico, Sud Africa e Stati Uniti in termini di perdita di produttività, assenza dal lavoro, sussidi e terapie. Per quanto riguarda l’Italia – riporta il “libro bianco sulla depressione” di ONDA – i costi diretti per ogni paziente si aggirano tra i 1.451 euro e gli 11.482, quelli indiretti tra i 1.963 e i 27.364 euro. Tutti questi dati e costi economici si aggraveranno negli anni secondo le prospettive dell’OMS: entro il 2030 la depressione sarà la malattia cronica più diffusa al mondo.