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Brexit: il Regno Unito a un anno dal referendum

Con il Prodotto interno lordo e l'occupazione in crescita, l'economia britannica dimostra un grande dinamismo
di Redazione

Mentre i negoziati sulla Brexit proseguono – il 28 agosto, a Bruxelles, è previsto un nuovo incontro, il terzo dall’inizio delle trattative, tra i rappresentanti di Regno Unito e Unione europea – i dati macro-economici britannici sono molto interessanti.

I dati dell’ONS – l’Office for National statistics, l’ufficio statistico britannico – certificano il buono stato di salute dell’economia britannica: nel secondo trimestre del 2017, il Prodotto interno lordo (PIL) tanto su base trimestrale (+0,3%) quanto su quella annua (+1,7%).
Oltre che in linea con la stima preliminare e con le attese degli analisti, la performance è migliore rispetto a quella registrata ad inizio anno: nel primo trimestre la crescita su base trimestrale era stata leggermente inferiore (+0,2%).
Bene va anche sul fronte occupazionale. Le statistiche relative al mercato del lavoro rivelano che nel secondo trimestre 2017 il tasso di disoccupazione – ovvero il rapporto tra chi è alla ricerca di un impiego e la forza lavoro – è sceso fino a toccare il 4,4%, la percentuale più bassa da molti anni a questa parte – per trovarne una inferiore bisogna tornare indietro fino al 1975 –, mentre il tasso di occupazione ha raggiunto il 75,1%, un record dal 1971, anno in cui è iniziata la serie storica.
Tra aprile e giugno il numero dei disoccupati è sceso di 157mila unità, passando a 1,48 milioni.
L’economia cresce e crea nuova occupazione. Eppure le incognite relative alla Brexit restano: che tipo di accordi raggiungeranno Bruxelles e Londra? Vedremo (l’uscita dall’Unione europea dovrà concretizzarsi entro il marzo del 2019).
Nel frattempo, molti cittadini dell’UE hanno preferito lasciare il Regno Unito: nel periodo compreso tra aprile 2016 e marzo 2017 – il referendum sulla Brexit si è tenuto il 24 giugno dello scorso anno –, complessivamente sono stati in 33mila a farlo – anche in questo caso, i dati sono dell’ONS –, la maggior parte dei quali (circa 17mila) proveniva dai Paesi entrati nell’Unione nel 2004: Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia.

 

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