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I laureati? Pochi con scarse competenze

Il rapporto Ocse "Strategia per le competenze" afferma che solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni ha un titolo di studio universitario rispetto alla media del 30%. E le scarse competenze hanno ripercussioni negative sulla produttività
di Redazione

Poche competenze, di base o avanzate, pochi laureati. Così alla scarsa offerta delle prime si associa un’altrettanto scarsa domanda da parte delle imprese, quello che potremmo definire un quadro di low-skills equilibrium. È l’Ocse a definirlo in questo modo, nella fotografia – non proprio lusinghiera – Strategia per le competenze. Nel rapporto si “benedicono” le riforme degli ultimi anni – il Jobs Act in particolare, ma si citano anche la Buona scuola, Industria 4.0, Garanzia Giovani – quali punti di partenza per rilanciare il sistema paese. A ben vedere, però, il percorso è da considerarsi ancora decisamente lungo.

Il documento è stato redatto in due anni e raccoglie le principali dinamiche socioeconomiche e occupazionali. La ripresa occupazionale, dice l’Ocse, non è bastata, fin qui almeno, a far ripartire la produttività e molto è dipeso proprio dalla rilevata mancanza di competenze diffuse, che nei fatti ha minato la competitività del nostro mercato del lavoro. Tale mancanza è trasversale: riguarda certamente i più giovani, ma anche i lavoratori con maggiore esperienza. In generale nel nostro paese ci si laurea meno che da altre parti, solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni lo è a fronte della media Ocse del 30%. E anche quanti sono in possesso di un titolo di studio universitario presentano in media un più basso tasso di competenze, ad esempio in lettura e matematica (26° posto su 29 paesi Ocse). E quelle poche competenze vengo spesso impiegate male, visto che la prima occupazione il più delle volte ha poco o nulla a che fare con il percorso accademico. Non solo: il nostro è l’unico paese del G7 in cui la quota di lavoratori laureati utilizzati in mansioni routinarie è superiore alla quota di chi svolge attività non di routine e specializzate.

L’Ocse osserva che una parte del problema può risiedere nelle università, che hanno difficoltà a fare rete con il mondo del lavoro, e nel sistema imprese: “In Italia, le imprese a gestione familiare rappresentano più dell’85% del totale e circa il 70% dell’occupazione del paese. I manager delle imprese a gestione familiare spesso non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire tecnologie nuove e complesse”. Inoltre c’è la grana dei salari non sempre adeguati, il cui livello è spesso correlato all’età e all’esperienza del lavoratore anziché alla performance individuale, “caratteristica che disincentiva nei dipendenti un uso intensivo delle competenze sul posto di lavoro”.

Nel rapporto vengono forniti alcuni suggerimenti per migliorare la situazione: maggiore partecipazione di donne e giovani al lavoro, formazione continua, studi avanzati, innovazione. Per far crescere il numero di laureati è opportuno migliorare l’accesso all’istruzione terziaria, soprattutto per gli studenti che provengono da un contesto socioeconomico più sfavorevole (le regioni del Sud, neanche a dirlo, sono che restano più indietro). Eppure una nota positiva c’è, pure in un contesto certo poco esaltante: la capacità dei nostri giovani e lavoratori nella “rapidità d’apprendimento e problem solving”. Per questo l’Ocse è convinta che “in Italia, politiche mirate di istruzione e formazione della forza lavoro, che siano anche coordinate tra di loro, potrebbero favorire un miglior (più intensivo) uso delle competenze elevate sul posto di lavoro”.

 

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