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La nuova strategia di Trump verso l’Iran

La Casa Bianca vuole “combattere l'influenza destabilizzante del governo iraniano nella regione” e soprattutto “negargli ogni via per l'arma nucleare”
di Mirko Spadoni

Il presidente degli Stati Uniti Donald J.Trump ha annunciato un importante cambiamento in politica estera. A differenza della precedente amministrazione – Obama aveva optato per un riavvicinamento all’Iran, culminato con l’accordo sul nucleare sottoscritto nel 2015 –, Washington cambierà atteggiamento verso Teheran.

Il programma di Trump si compone di sei punti e intende “neutralizzare l’influenza destabilizzante” nella regione del governo iraniano, contenendone “la sua aggressività, specialmente nel sostegno al terrorismo e ai militanti”. Come intendono procedere, gli Stati Uniti? “Rivitalizzando le loro tradizionali alleanze e partnership regionali come baluardo alla sovversione iraniana e ripristinare un più stabile equilibrio di potere nella regione”. Alleati regionali – su tutti Arabia Saudita e Israele, ovvero i principali rivali dell’Iran – che vanno protetti anche “dai missili balistici e da altre armi asimmetriche” iraniane.

Per contenerne l’influenza, Trump vuole “negare al regime iraniano, e specialmente al Corpo della guardie della rivoluzione islamica – conosciuti anche come Pasdaran o con l’acronimo IRGC, ndr –, i fondi per le sue attività maligne, che sottraggono la ricchezza del popolo iraniano”.

Gli ultimi due punti, infine: “Riunire la comunità internazionale per condannare le evidenti violazioni dei diritti umani dell’IRGC e la sua ingiusta detenzione di cittadini americani e di altri stranieri con accuse pretestuose” e “soprattutto negare al regime iraniano ogni via per l’arma nucleare”.

Il programma in sei punti non specifica quale decisione ha preso Trump sull’accordo nucleare, anche se le dichiarazioni degli ultimi giorni lasciano intendere le intenzioni. Per il presidente, l’accordo non è più funzionale agli interessi americani e non è rispettato da Teheran, almeno nello spirito. Sarebbe la cosiddetta “de-certificazione”- l’amministrazione statunitense ha l’obbligo giuridico di certificare al Congresso ogni 90 giorni che l’Iran si sta attenendo all’accordo -, che di fatto offre al Congresso una finestra di 60 giorni per re-imporre le sanzioni contro l’Iran che erano state sospese dopo l’intesa firmata a Vienna nel 2015.

Non tutti condividono la posizione di Trump, specialmente sull’accordo nucleare: lunedì l’alto rappresentante Federica Mogherini l’ha definito una soluzione “win-win” – termine con il quale si indica una negoziazione alla fine della quale entrambe le parti soddisfano i propri interessi – e “ha messo fine ad una delle peggiori crisi nucleari del nostro tempo”. “Adesso non possiamo permetterci di aprire un altro fronte”, ha concluso Mogherini alludendo alla crisi nordcoreana. Insomma, l’UE non crede nella necessità di rinegoziare l’accordo. Dello stesso avviso, sono anche Russia e Cina. E (ovviamente) anche la controparte iraniana.

Il presidente dell’Iran, Hassan Rohani, ha detto di considerare “irreversibili” i risultati raggiunti dal suo Paese con l’intesa sul nucleare, anche nel caso in cui “emergessero dieci Trump nel mondo” a metterlo in pericolo. Secondo il leader iraniano, infatti, nei negoziati con le altre potenze mondiali Teheran ha dimostrato di “non essere forte solo in guerra, ma di esserlo anche in pace”. In un’intervista a Politico, il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha detto che, fino a quando Unione europea, Russia e Cina proseguiranno a implementare l’accordo, Teheran continuerà a farne parte parte.

In caso contrario, Teheran non resterà certo a guardare: il generale a capo dei pasdaran, Mohammed Ali Jafari, ha avvertito che, in caso di nuove sanzioni nei confronti dell’Iran, gli Stati Uniti “dovrebbero preoccuparsi di trasferire le loro basi militare a un raggio di duemila chilometri di distanza dai missili iraniani”. Inoltre, se Washington inserirà i Guardiani della Rivoluzione nella lista delle organizzazioni terroriste, Teheran farà altrettanto “considerando l’esercito americano in tutto il mondo, e soprattutto in Medio Oriente, come DAESH”, l’acronimo arabo dello Stato islamico.

Trump definisce quello sul nucleare iraniano “il peggior accordo mai visto”. Gli elettori americani la pensano ugualmente? Un sondaggio condotto da YouGov rileva che la maggioranza degli statunitensi (56%) è favorevole all’accordo, con il 31% che addirittura lo approva fortemente. Solo il 19% del campione la pensa come il presidente e lo disapprova. Anche considerando l’appartenenza politica, le cose non cambiano moltissimo: tra i democratici la quota di chi sostiene l’accordo raggiunge il 68%, percentuale che scende al 51% tra i repubblicani.

Un appunto, però: YouGov precisa che, nonostante la maggioranza degli statunitensi si dichiara favorevole all’accordo, nei confronti dell’Iran rimane una certa diffidenza: il 44% degli intervistati ritiene Teheran uno dei nemici degli Stati Uniti.

 

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