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Dalla rinuncia agli studi all’overducation

Il principale motivo per cui viene interrotto precocemente il percorso scolastico e formativo è la volontà di iniziare a lavorare. Altre volte è la mancanza di interesse. Ma il mercato del lavoro è sempre più esigente
di Redazione

Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, scrive sul Corriere della Sera che «da qui in avanti le priorità saranno competenze e formazione sulle quali scontiamo un ritardo decennale e dove oggettivamente anche il nostro Piano (Industria 4.0, ndr) ha mostrato limiti e lentezze nel primo anno di applicazione». Il mercato del lavoro è sempre più dinamico, in più cambiano i modelli economici: siamo avviati verso una (quasi) totale automazione dei processi produttivi, con le figure professionali che mutano. Alcune scompaiono, altre vengono sostituite. Ecco che il tema “competenze e formazione” diventa prioritario, appunto. Eppure, ancora oggi, l’abbandono scolastico o la rinuncia a proseguire gli studi sono piuttosto diffusi nel paese (è doveroso però sottolineare che la dispersione scolastica si è ridotta negli ultimi anni), minando perciò quella che, incautamente, potremmo definire “formazione di base”.

Secondo l’Istat, dati contenuti nel report di recente pubblicazione sui giovani nel mercato del lavoro (periodo di riferimento il secondo trimestre del 2016), otto milioni e diecimila giovani tra i 15 e i 34 anni sono fuori dal sistema di istruzione e formazione cosiddetto formale. «Il 29,5% (2 milioni 363 mila) ha al più un titolo secondario inferiore, il 51,8% (4 milioni 146 mila) un titolo secondario superiore e il 18,7% (1 milione 500 mila) un titolo terziario» (università). Nel Mezzogiorno una quota significativa di giovani si presenta nel mercato del lavoro con la licenza media, a conferma – osserva l’Istituto – della forte incidenza degli abbandoni scolastici precoci e del grande divario nella dispersione scolastica tra quest’area e il Centro-Nord.

Quali ragioni spingono alcuni giovani a non proseguire gli studi? L’Istat ha posto il quesito a coloro in possesso di licenza media e a quelli che hanno ottenuto al massimo un diploma. In entrambi i casi di indagine, solo un giovane su 10 ha risposto di ritenere sufficiente l’istruzione ricevuta. Il motivo principale del mancato proseguimento degli studi è invece la volontà di iniziare a lavorare. A pensarla in questo modo sono oltre cinque diplomati su 10 e quattro giovani con al più la licenza media su 10. La difficoltà e, o, la mancanza di interesse negli studi (quest’ultima ragione comprende, per i diplomati, il mancato superamento dei test di ingresso all’università) è, nel complesso, la seconda ragione. Questa motivazione riguarda una quota piuttosto consistente di giovani: il 21,3% di chi ha un titolo secondario inferiore e il 16% di chi ha un titolo secondario superiore. Infine le ragioni familiari, «intese in senso lato ovvero non solo come impegni e responsabilità ma anche come possibile mancato sostegno/incoraggiamento familiare», rappresentano comunque un campione importante tra quanti decidono di abbandonare gli studi precocemente: (13,4%).

Queste stime, naturalmente, non devono indurre a conclusioni affrettate. Interrompere gli studi non vuol dire necessariamente che non vi sia modo di accedere al mercato del lavoro in tempi rapidi, magari apprendendo un mestiere. Anzi. Però resta il fatto, ribadito anche dall’Istat, che il tasso di occupazione nelle fasce più giovani sia di norma più alto tra quanti riescono ad ottenere titoli di studio elevati. A sua volta, non sempre tale condizione è motivo di soddisfazione e appagamento. E qui entra in gioco la cosiddetta overducation.

Infatti, il sottoutilizzo del capitale umano disponibile, cioè la mancata corrispondenza tra il livello di istruzione raggiunto e la professione svolta, è piuttosto frequente fra i giovani e interessa più i diplomati dei laureati. Nel 2016, il 38,5% dei giovani diplomati e laureati di 15-34 anni (circa 1,5 milioni) dichiara che per svolgere adeguatamente il proprio lavoro sarebbe sufficiente un più basso livello di istruzione rispetto a quello posseduto (ciò vale per il 41,2% dei diplomati e il 32,4% dei laureati).

 

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