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Il mercato del lavoro e le sfide per il 2018

Dai livelli occupazionali all'impatto che l'innovazione e la tecnologia avranno sulle persone, passando per la sicurezza e il rischio povertà. Perché – come dice Mattarella – è questa «la prima, e la più grave, questione sociale»
di Redazione

Nel tradizionale discorso di fine anno il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha introdotto alcuni temi chiave che interessano la vita politica e sociale dell’Italia nel 2018. In primo luogo perché il 4 marzo saremo chiamati a votare e, in questo senso, il capo dello Stato si è rivolto ai giovani che per la prima volta potranno recarsi alle urne, ricordando i 18enni che cent’anni fa «vennero mandati in guerra, nelle trincee» (il 2018, infatti, è il centenario della vittoria nella Grande guerra) e «molti vi morirono». In secondo luogo perché, al di là di qualsiasi considerazione politica, un tema più di altri è particolarmente sentito nel paese, peraltro da diversi anni: il lavoro. «Mi limito a sottolineare ancora una volta – ha affermato Mattarella – che il lavoro resta la prima, e la più grave, questione sociale. Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro. È necessario che ve ne sia in ogni famiglia. Al tempo stesso va garantita la tutela dei diritti e la sicurezza, per tutti coloro che lavorano».

Come ci si può orientare al cospetto della «più grave questione sociale» in Italia, cioè il lavoro? Il tema è ricorrente – anche su queste pagine – e come già sottolineato gli indicatori stanno mostrando un trend al rialzo, segno di un’economia che è ripartita pur tra mille difficoltà. Parlare di ripresa è però, forse, avventato in quanto la sua fragilità è piuttosto evidente. E persistono alcune criticità all’interno del mercato del lavoro.

«Il 2016 – si legge nell’Annuario statistico dell’Istat, pubblicato proprio allo scadere del 2017 – si caratterizza per un nuovo e più sostenuto aumento dell’occupazione (+293 mila unità), cui corrisponde un aumento del tasso di occupazione per la popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni che arriva al 57,2%, un valore che però si mantiene ancora molto al di sotto della media UE (66,6%)». In generale il momento più favorevole interessa anche i giovani di 15-34 anni (+0,9%), per la prima volta dall’inizio della crisi. In generale, poi, un elevato tasso di disoccupazione che ancora si è continuato ad osservare negli ultimi mesi del 2017 è sintomatico di una rinnovata fiducia. In altre parole: diminuiscono gli inattivi e aumentano le persone in cerca di occupazione. Nel 2016 la crescita del tasso di occupazione tra i 15-64enni ha riguardato tutti i titoli di studio, «ma è più marcata per i laureati (+1,3 punti)» e «si ampliano così i già elevati divari tra i livelli di istruzione relativamente alla partecipazione al mercato del lavoro». Prosegue l’Istat: «Il vantaggio di chi ha raggiunto il più elevato livello di istruzione si riscontra in tutte le fasce di età, in particolare tra i 45 e i 54enni, per i quali l’indicatore sfiora il 90 per cento. Solo per i giovani sotto ai 25 anni il tasso di occupazione è lievemente superiore per i diplomati rispetto ai laureati, a motivo dell’ingresso più tardivo nel mercato del lavoro di chi ha prolungato gli studi». Non sono, questi, numeri da prendere con le molle. In un contesto mutevole quale è l’attuale mercato del lavoro – caratterizzato dall’introduzione nei processi produttivi dell’intelligenza artificiale, dei robot e dell’automazione più in generale – quali saranno le risposte per non correre il rischio di lasciare le persone indietro? Industria 4.0 e la sua più recente declinazione in Impresa 4.0 sono concetti che hanno gettato fin qui le basi (anche sul piano dell’istruzione, mirando ad un più proficuo dialogo tra tessuto imprenditoriale e mondo accademico), da ora sarà però opportuno adottare tutte quelle misure che serviranno a scongiurare qualsiasi forma di esclusione sociale.

Perché la povertà e l’esclusione sociale sono rischi alquanto frequenti. Dall’ultimo report su Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie dell’Istat emerge che sono oltre 18 milioni gli italiani a rischio povertà. E non è tutto: nel 2016 il 12,1% delle persone – in crescita rispetto all’11,5% dell’anno precedente) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale, ha mostrato cioè almeno quattro dei nove segnali di deprivazione previsti; il 12,8% (più di un punto percentuale di aumento rispetto al 2015, quando era l’11,7%) vive in famiglie a bassa intensità di lavoro, vale a dire famiglie con componenti tra i 18 e i 59 anni che nel 2015 hanno lavorato meno di un quinto del tempo. A tutto ciò si aggiungano alcuni ritardi di lungo corso: il cuneo fiscale (le imposte che direttamente o indirettamente vanno a togliere risorse al lavoratore) è ancora piuttosto elevato, pari al 46% del costo del lavoro, sebbene in lieve calo rispetto agli anni precedenti (46,2% nel 2014, 46,7% nel 2012) mentre «in tema di retribuzioni siamo il peggior paese europeo (nonché 125esimo nel mondo) per capacità di legare lo stipendio all’effettiva produttività» (fonte: Centro Studi ImpresaLavoro su dati contenuti nel The Global Competitiveness Report 2017-2018 del World Economic Forum, ottobre 2017).

Un’ultima questione. Mattarella, nel discorso del 31 dicembre, ha fatto riferimento pure alla sicurezza sul lavoro. Una questione che ci ha visti ai margini delle statistiche per numero di infortuni e morti troppo a lungo. L’andamento osservato dall’Inail, per quanto i dati siano ancora provvisori, indica un incremento delle denunce di infortuni sul lavoro tra gennaio e novembre 2017 (+0,3%), 952 dei quali con esito mortale (+1,8%). Gli obiettivi, nel 2018, certo non mancano.

 

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