La politica estera di Donald Trump
Tutto in poche ore. Critiche, dure, al regime iraniano. Minacce di sospendere i fondi al Pakistan e ai palestinesi. E, immancabile, il botta e risposta con il leader nordcoreano Kim Jong-un. Il presidente statunitense, Donald Trump, è apparso particolarmente attivo negli ultimi giorni su Twitter ed è sul noto social network che ha risposto al discorso di fine anno di Kim, quello in cui ricordava di avere sulla scrivania un pulsante nucleare pronto all’uso. «Il mio pulsante nucleare è più grande e potente del suo. E il mio funziona», ha twittato l’inquilino della Casa Bianca.
Per quanto riguarda gli altri dossier sul tavolo del presidente – Iran (dove i Pasdaran hanno annunciato la sconfitta della protesta che da alcuni giorni stava interessando Teheran e altre città del paese), Pakistan e Palestina – la questione è più complessa. Quanto stava accadendo in Iran ha rappresentato per Trump l’occasione di criticare apertamente il regime di Teheran. «Gli Usa vi stanno guardando», ha scritto ancora su Twitter. Del resto non è un segreto, poiché il tema era stato ampiamente dibattuto durante la campagna presidenziale del 2016: per l’attuale amministrazione l’accordo sul nucleare raggiunto da Obama nel 2015, «il peggiore» mai concluso dagli Stati Uniti, dunque Trump vorrebbe provare a cancellarlo. La tensione tra gli Usa e il Pakistan, invece, riguarda l’accusa che il presidente ha rivolto a Islamabad di avere fatto il doppio gioco con i terroristi in Afghanistan, nonostante i tanti soldi (33 miliardi di dollari) in aiuti dati nell’arco di 15 anni. L’ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley, ha annunciato a tale proposito: «L’amministrazione Trump sospenderà 255 milioni di dollari di aiuti al Pakistan». Infine, Trump neppure ha escluso di tagliare i fondi ai palestinesi se questi ultimi rifiuteranno di collaborare al processo di pace in Medio Oriente dopo la mossa di Washington di riconoscere Gerusalemme quale capitale d’Israele.
Che Trump sia una persona piuttosto impulsiva non lo scopriamo certo oggi. Ma la sua azione di governo è coerente, piaccia o no. E risponde al principio di “America First” che gli ha permesso di vincere le elezioni nell’ottobre del 2016 ai danni dell’ex segretario di Stato e First Lady, Hillary Clinton. Il documento sulla nuova Strategia di sicurezza nazionale, presentato nella seconda metà di dicembre, è chiaro e va proprio in questa direzione. Sono quattro i pilastri: protezione della patria, promozione della prosperità americana, preservare la pace con la forza e diffusione dell’influenza statunitense. Vengono confermati i “nemici” – tra cui rientrano a pieno titolo Corea del Nord e Iran, tra gli altri – e individuati (vecchi) avversari, definiti «potenze revisioniste» (Cina e Russia), impegnate cioè a sovvertire l’ordinamento geopolitico e le sfere di influenza. Quel principio, saldo, di “America First” viene esplicitato dall’amministrazione Trump e declinato anche in politica estera. Insomma: al di là delle ironie che facilmente possono derivare dalle presunte dimensioni dei rispettivi pulsanti nucleari, le uscite di Trump vanno collocate in un contesto più ampio: ad ogni provocazione (finanche dialettica) di Pyongyang segue una risposta decisa di Washington.