Dura a morire: così la tv e gli italiani
La Commissione di Vigilanza Rai ha varato il regolamento della par condicio che, dopo giorni di polemiche al riguardo, ammette anche i programmi di infotainment tra quelli che potranno ospitare interviste ai candidati. Il candidato premier del M5S, Luigi Di Maio, è stato ospite di Porta a Porta, martedì sera: la campagna elettorale è cominciata a tutti gli effetti pure in tv, in soldoni. Il dibattito che ruota attorno ai mezzi di comunicazione più utilizzati dai cittadini per informarsi è sempre stato frequente, a maggior ragione da quando internet e tutto ciò che ne è derivato – quotidiani nativi digitali e social media (con annesse polemiche sul ruolo delle fake news nel creare “opinione”) – è diventato un fattore dirimente nelle nostre vite. Se di mezzo ci sono in ballo elezioni a carattere nazionale, neanche a dirlo. Secondo dati Istat che vengono citati da La Stampa c’è un’Italia pari al 62,1% «che si informa molto, tutti i giorni o quantomeno qualche volta a settimana» e «all’opposto» c’è un’Italia pari al 36,6% «che non si informa mai, o soltanto qualche volta a settimana, al massimo qualche volta al mese». Ad ogni modo, a tutt’oggi, la cara vecchia televisione resta – scrive La Stampa – «la regina incontrastata dell’informazione politica d’Italia».
Sia beninteso: molto dipende dalle fasce di età interessate a questo o quell’argomento, dal genere e altri elementi che concorrono a scegliere il mezzo con cui informarsi. E sicuramente online è possibile accedere a tutte le informazioni – politiche e non – di cui si ha bisogno (del resto, si nota nell’articolo già citato, al crescere dell’età cresce anche l’esigenza di saperne di più e comunque, in generale, si osserva una percentuale importante di persone che si disinteressano alla politica, un cittadino su quattro). Ad ogni modo, della tv si diceva, «il piccolo schermo pesa ancora per il 90,4% ed è un dato abbastanza uniforme tra le diverse classi d’età, passando dall’84,2% dei diciottenni fino al 93% dei sessantenni». «I tg non hanno affatto perduto il loro ruolo di informazione di massa», scrive La Stampa.
A ben vedere i dati fanno il paio con quelli del Censis contenuti nel 14esimo Rapporto sulla comunicazione (dicembre 2017). «La tv tradizionale (digitale terrestre) – metteva dunque in evidenza il Censis – cede qualche telespettatore, confermando però un seguito elevatissimo (il 92,2% di utenza complessiva, con una riduzione del 3,3% rispetto al 2016). La tv satellitare raggiunge quasi la metà degli italiani (il 43,5% nel 2017)». Ma cresce inoltre la tv via internet: «Web tv e smart tv raggiungono il 26,8% di utenza (+2,4% in un anno). Ed è decollata la mobile tv, che ha raddoppiato in un anno i suoi utilizzatori, passati dall’11,2% al 22,1%». A fronte di questi dati il Censis rileva anche una crescita degli italiani (il 75,2%) sul web che prosegue, sebbene ad un ritmo pià lento.
I numeri relativi all’Italia sembrano però discostarsi da quelli che si registrano altrove, Stati Uniti in particolare. Secondo un’indagine del Pew Research Center meno americani si affidano alla tv per accedere alle notizie. Solo il 50% degli adulti statunitensi, infatti, riceve regolarmente notizie dalla televisione, in calo rispetto al 57% di inizio 2016. C’è però da dire che il caso americano è, se vogliamo, ancora più eterogeno del nostro. Va fatta una distinzione oltre che per età, genere o titolo di studio anche per tipo di fruizione del mezzo (tv via cavo vs. tv locali, ad esempio) che spesso si differenzia molto se l’intervistato è un bianco, un afroamericano o un cittadino di origini ispaniche (tra i non bianchi, il 41% accede all’informazioni soprattutto tramite le tv locali). Per rendere meglio l’idea: dal 2016 al 2017 la percentuale di americani che si affida “spesso” alla tv locale per le notizie è scesa di nove punti – dal 46% al 37% –, più stabile invece risulta essere il valore tra quanti prediligono la tv via cavo.