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Orari di lavoro flessibili, il caso tedesco

Non tutti sono d'accordo, qualcuno teme un rischio "sfruttamento" per i lavoratori, ma da diverse parti si cominciano a sperimentare nuovi modelli organizzativi
di Silvia Capone

Lo scorso febbraio in Germania si è arrivato ad un accordo storico riguardante l’orario di lavoro, l’intesa tra i sindacati metallurgici e le imprese riguarderà i 900 mila dipendenti della regione est e prevede, su base volontaristica, la possibilità di ridurre per un massimo di due anni la settimana lavorativa da 35 a 28 ore – senza che lo stipendio sia intaccato – in caso in cui si svolgano lavori usuranti o che si debba provvedere alla cura di figli e parenti. L’accordo ha avuto come principale “merce” di contrattazione il tempo impiegato al lavoro, argomento già al centro di una proposta dei consulenti economici del governo tedesco in cui si ritiene ormai obsoleto il modello delle otto ore giornaliere.

Lo studio suggerisce una soluzione più moderna, che prevede il superamento dell’attuale orario di lavoro 9-17, tipico dell’impostazione industriale, tenendo invece conto delle ore lavorate durante l’arco di una settimana. La proposta individuata andrebbe anche ad incontrare il favore delle aziende che per accogliere le esigenze del lavoro da tempo chiedono orari flessibili per i propri dipendenti in base alle necessità del momento, mantenendo comunque intatto il tetto massimo delle 48 ore settimanali. Il risultato sarebbe quindi una banca ore personale che il lavoratore potrebbe controllare, in modo da gestire autonomamente il proprio tempo e godere di una certa libertà oraria.

Opposto il parere dei sindacati tedeschi che prevedono una possibile deriva di “sfruttamento” come l’allungamento dell’orario di lavoro, legittimando quindi una prevaricazione da parte dei datori di lavoro. La soluzione non sarebbe adattabile a tutti i tipi di professioni infatti potrebbe essere indirizzata per quegli impieghi in cui, a causa della digitalizzazione, per il lavoratore è spesso difficile staccare completamente dopo l’uscita dall’ufficio. Con le tecnologie che permettono di controllare il lavoro anche a distanza, il confine orario è sempre più labile, basti pensare a mail o a chiamate fuori le canoniche otto ore e che da un lato potrebbero causare sanzioni per le aziende stesse e dall’altro “stressare” il lavoratore.

Definire il lavoro in base a standard orari settimanali e non giornalieri è un’apertura significativa verso il nuovo paradigma orientato al risultato a favore, come testimoniano molti studi, della produttività e del benessere del lavoratore. Ed è proprio con questi obiettivi che l’orario di lavoro flessibile è stato già sperimentato a livello micro, ne sono un esempio alcune aziende che hanno rinunciato, in misura diversa, alle restrizioni sulla definizione dell’orario. Tra queste spiccano la Virgin, il cui fondatore convinto che una persona felice lavori meglio, ha abolito l’orario di lavoro nelle sedi di Regno Unito e Stati Uniti, l’agenzia di sviluppo web Potato che ha “rinnegato” il modello 9-17 permettendo ai propri dipendenti di arrivare in ufficio a qualunque orario, purché il lavoro venga portato a termine, e anche l’azienda Fast Retailing che a Tokyo sta sperimentando una settimana di quattro giorni lavorativi per alcuni dipendenti, consentendo di lavorare 10 ore al giorno, 4 giorni su 7.

GALASSIA LAVORO

 

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