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Il paradosso delle corsie senza medici specializzati

Già da tempo è in corso un acceso dibattito sui bisogni del SSN: non ci sono abbastanza medici specializzati per sostituire quelli che cessano la propria attività nel servizio pubblico, spostando l'attenzione dal vero fulcro della questione
di Matteo Buttaroni

In occasione dell’Assemblea annuale della Federazione delle aziende sanitarie pubbliche, il Laboratorio Fiaso ha presentato un’analisi dalla quale emerge lo stato di difficoltà che le Asl e gli ospedali italiani stanno attraversando in termini di personale. Da qui al 2022, spiega lo studio, «tra uscite dal lavoro dei baby boomer in camice bianco e numero contingentato di nuovi specialisti mancheranno all’appello 11.803 dottori anche se si andasse verso un totale sblocco del turn over». Il problema, infatti, è che gran parte dei professionisti – oltre uno su tre – lascia il lavoro prima dei sopraggiunti limiti di età. C’è chi lo fa per andare in pensione anticipata e chi perché cede alla tentazione della sanità privata. Senza contare che uno specializzato su quattro sceglie a priori di non optare per il servizio pubblico, puntando in alcuni casi al settore privato e in altri addirittura all’estero. Di conseguenza nel Servizio sanitario nazionale si sta verificando un vero e proprio “fuggi-fuggi”, lasciando sempre più vuote le corsie degli ospedali. Benché lo studio sia interessante (e allo stesso modo allarmante), il presupposto da cui parte il presidente di Fiaso, Francesco Ripa di Meana, per illustrare la soluzione al problema potrebbe non tenere conto della complessità del quadro. Secondo Ripa di Meana «l’aumento dei posti disponibili nelle scuole di specializzazione non avrebbe effetti nei prossimi anni e non sarebbe in ogni caso efficace per carenza di laureati in medicina da inserire, il tema è a questo punto ragionare sul miglior utilizzo delle competenze professionali attuali». In sostanza secondo il presidente Fiaso il problema non è lo sbarramento all’entrata, ma che non ci sarebbero abbastanza laureati in medicina da inserire nei percorsi di specializzazione. I numeri, infatti, sembrano dire il contrario.

IL PARADOSSO IN NUMERI
Secondo una serie di studi realizzati dall’Anaao (l’Associazione medici e dirigenti del Servizio sanitario nazionale), nel 2017 i candidati che hanno tentato il test di ingresso alla Facoltà di Medicina sono stati 66.907, contro i 9.100 posti disponibili. Un numero, quest’ultimo, in forte crescita rispetto al 2010, quando i posti disponibili erano 8.508. Il problema, però, è che non sono aumentati allo stesso modo i contratti nelle Scuole di Specializzazione post-lauream, fermi intorno alle seimila unità da qualche anno. Considerando poi che, secondo l’analisi di Anaao, il tasso di laurea è pari a circa l’89% (89,8% nel quinquennio 2008-2012, il tasso più alto tra i vari corsi universitari italiani), si crea di conseguenza un gap abbastanza ampio tra laureati in medicina e posti disponibili nelle scuole di specializzazione. Differenziale che, peraltro, è destinato ad aumentare, visto che chi non è riuscito ad entrare alla specialistica (e non si scoraggia, tentando altre strade) ritenta l’anno successivo (senza contare casi limite come quello dello scorso anno, quando il test è stato posticipato, aumentando la platea di domande). Secondo le stime (lo studio è antecedente all’anno di riferimento, quindi bisogna considerare un margine di errore del 2%) nel 2016/2017 si sono laureati 8.555 medici, mentre le domande al corso di specializzazione sono state oltre 14mila. Se si considera che – sommando ai contratti di specializzazione Miur quelli regionali e le borse di studio per il corso di formazione specifica in medicina generale – si arriva a poco più di settemila posti per la formazione post-lauream, di conseguenza si ha una rimanenza di giovani medici che non trovano accesso alla formazione post-lauream pari a oltre settemila unità. Cifre che, se il sistema rimarrà invariato, saliranno parecchio da qui al 2023: 30.800 domande di concorso di specializzazione, settemila posti e quindi un “imbuto formativo” pari a oltre 23.700 unità. A tutto ciò si aggiunge il problema legato alla discrepanza che c’è tra lo stock di contratti specialistici stanziati e il fabbisogno di medici del Servizio Sanitario Nazionale. «Il risvolto consiste – spiega Anaao – in una quantità insufficiente di neospecialisti rispetto alle reali esigenze del SSN e in una formazione di una pletora medica non specialista potenzialmente disoccupata». Le entrate, oltretutto, non tengono il passo delle uscite. Tra il 2016 ed il 2025, secondo le stime, il numero dei medici dipendenti dal SSN cessati saranno 47.284, mentre i neo-specialisti saranno 42.550, comportando una mancanza di 4.730 medici nell’arco del decennio (con conseguenze anche sul carico di lavoro degli specialisti).

OLTRE IL DANNO…
La beffa, come se non bastasse, è che la nuova tipologia di concorso porta ad un ulteriore perdita di posti. La graduatoria nazionale basata su un test di 140 domande cliniche e scenari clinici uguali per tutti, non permette, a chi ha svolto anni di internato e tesi in un determinato reparto, di poter concorrere in maniera realmente meritocratica in base alla preparazione inerente la specializzazione da lui ambita. Così troviamo aspiranti pediatri a fare i chirurghi generali, aspiranti cardiologi a fare gli ortopedici, aspiranti dermatologi a fare i fisiatri. La scelta tra il “niente” e un posto qualunque con uno stipendio garantito per almeno 3-4 anni sembra alquanto ovvia. Ci si ritrova così con molti specializzandi insoddisfatti che l’anno successivo riprovano il concorso sperando di coronare il loro sogno. Il risultato? Coloro che entrano e accettano la nuova borsa di studio mandano in fumo la vecchia specializzazione con il risultato di uno spreco sia delle risorse statali per gli anni ormai svolti sia dei posti che sono stati di fatto sottratti a colleghi che avrebbero invece potuto realizzare le proprie ambizioni. Una scelta che «lascia veramente perplessi – si legge infatti in una lettera inviata dal vicepresidente di Federsanità, Giovanni Iacono, a Quotidiano Sanità – è il non scorrimento della graduatoria che va contro ogni norma ed ogni logica. Ci attendavamo un aumento delle borse di studio e ci ritroviamo con un restringimento ulteriore degli stessi, insufficienti, posti messi a concorso». «Si ridimensiona, inspiegabilmente, il peso curriculare a detrimento della meritocrazia e – spiega ancora – con i 140 quesiti su prova unica rispetto al passato dove vi erano, anche i quesiti specifici per la specializzazione prescelta, si tende ad un ‘livellamento’ i cui esiti saranno tutti da verificare. Non era certo questa la riforma tanto attesa che doveva eliminare ciò che non funzionava ed innovare nella direzione di fornire maggiori borse studio e di dare ‘eccellenza’ alle scuole di specializzazione per meglio avviare al mondo del lavoro le nuove leve dei medici; di cominciare a colmare i vuoti enormi nella medicina generale; di dare un senso compiuto e corretto al numero chiuso che trova la sua prima ragione proprio nella capacità di programmazione tra ‘domanda’ ed ‘offerta’. Non osiamo immaginare quali situazioni verranno fuori da queste scelte a ‘caso’ delle sedi in una sorta di ‘ruota della fortuna’ che rischia di creare ingiustizie, iniquità, rinunce e l’eterogenesi dei fini con tante borse di studio che, senza scorrimento, non saranno neanche assegnate. Il Governo è ancora in tempo per modificare queste scelte e per raddoppiare le borse di studio».

PROPOSTE DISCORDANTI
Secondo l’analisi del responsabile Nazionale Anaao Giovani, Domenico Montemurro (pubblicata sul Sole 24 Ore, il 29 novembre 2016), «in base ai dati analizzati nello studio, Anaao Assomed propone che il numero dei posti per la Scuola di Medicina e Chirurgia debba essere limitato a circa 6.500 ogni anno, mentre le borse di studio per la formazione post laurea dovrebbero aumentare fino a circa 7.200, magari anche con finanziamenti europei considerata l’emigrazione dei laureati e specialisti “made in Italy” verso altri paesi della Comunità». Come anticipato, la pensa invece diversamente il Presidente di Fiaso, Francesco Ripa di Meana, secondo il quale «si potrebbero anche prevedere nuovi modelli contrattuali per i medici che non accedono alle scuole di specializzazione, con percorsi protetti da sistemi di tutoraggio e formazione in Azienda. O ancora inserire medici neo-laureati non specializzati per la gestione di pazienti post-acuti». «Un percorso – conclude – che trasformi il problema del fabbisogno specialistico in occasione per introdurre la necessaria innovazione nei setting di cura centrati sul paziente, nella tecnologia e, in definitiva, nella cultura di tutti gli operatori. Tutto ciò non può che essere basato su nuovi investimenti nel capitale umano del SSN».

UNA VOCE RASSICURANTE
Proprio un paio di giorni fa, il 17 luglio, migliaia di medici hanno sostenuto il concorso per l’ammissione alle Scuole di specializzazione. Per l’occasione la neoministra della Sanità, Giulia Grillo, ha tentato di rassicurare gli aspiranti specializzandi che verranno. Sul suo profilo di Facebook ha scritto: «Ragazzi, lo so, vi hanno creato un percorso di guerra per potervi formare. Ma tutto questo cambierà presto! Non lo avevamo ancora reso noto… Già nelle scorse settimane il Ministero della Salute ha iniziato a predisporre un gruppo di lavoro per la revisione del sistema di formazione medica post laurea, come previsto anche dal Programma di Governo. Da medico, ma ancora prima da cittadina, in questi anni ho assistito al disastroso spettacolo della mancanza di programmazione: insufficienti posti nei corsi di specializzazione e nella formazione in medicina generale, continui problemi concorsuali e progressiva perdita di organici nel nostro Servizio sanitario nazionale. Chi ci ha preceduto non ha saputo affrontare il problema in modo efficace. Noi oggi abbiamo tutta l’intenzione di farlo, agendo dai principi che governano il sistema. Non ci si può nascondere dietro un dito e tutti sappiamo che le condizioni di un giovane laureato in medicina in questo Paese sono tutt’altro che attrattive e spesso invogliano alla fuga all’estero, dove ci si può formare lavorando in un clima di rispetto e considerazione. Così dopo anni e anni di investimenti che questo Paese ha sostenuto per la vostra formazione troppi lo abbandonano. Oggi la musica cambia. La formazione per i nostri giovani deve cambiare e trasformarsi da percorso a ostacoli a percorso di opportunità e crescita».

Speriamo.

 

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