L’economia (a rilento) dell’Eurozona
Basti un dato su tutti: l’attività manifatturiera della Germania ha registrato una brusca frenata a gennaio, con l’indice Pmi che si è attestato appena sotto la soglia base dei 50 punti, a 49,9 (a indicare una lieve fase di contrazione). E si sa che se la Germania non ride, l’Europa piange. In definitiva è una spiegazione, seppur minima, della decisione della BCE di di mantenere invariati i tassi d’interesse – cioè su valori minimi (rispettivamente allo 0,00%, allo 0,25% e al −0,40%) – almeno fino all’estate, «e in ogni caso finché sarà necessario per assicurare che l’inflazione continui stabilmente a convergere su livelli inferiori ma prossimi al 2% nel medio termine».
Non è certo un segreto che l’economia dell’Eurozona sia in rallentamento. I rischi per le prospettive di crescita nell’area si sono orientati al ribasso «per via delle persistenti incertezze connesse a fattori geopolitici e alla minaccia del protezionismo, alle vulnerabilità nei mercati emergenti e alla volatilità nei mercati finanziari», spiegano a Francoforte.
Nel terzo trimestre del 2018 il PIL in termini reali dell’Eurozona è aumentato dello 0,2% rispetto al periodo precedente, dopo una crescita dello 0,4% nei primi due trimestri. I dati più recenti indicano un’evoluzione più debole rispetto alle attese per via del rallentamento della domanda estera, a cui si aggiungono alcuni fattori specifici a livello di paese e settore.
La fase espansiva, nel breve periodo, potrebbe essere più debole di quanto previsto. E ciò potrebbe avvenire nonostante i rischi possano presto affievolirsi. In prospettiva, precisa ad ogni modo la BCE, «la crescita dell’area dell’euro continuerà a essere sostenuta da condizioni di finanziamento favorevoli, ulteriori incrementi dell’occupazione e un aumento delle retribuzioni, ribassi dei prezzi dei beni energetici, nonché dal perdurare dell’espansione dell’attività mondiale, seppure a un ritmo lievemente inferiore».