Il sottoutilizzo della forza lavoro in Italia
Un investimento in istruzione che non trova un adeguato sbocco può spingere le persone all’estero. Il contratto a tempo determinato è il più utilizzato al primo ingresso nel lavoro dipendente e le transizioni risultano superiori tra i più giovani
di Redazione
Uno dei principali ostacoli che si possono osservare nel mercato del lavoro italiano è il sottoutilizzo della forza lavoro. Persone che sarebbero disposte a lavorare di più costrette a meno ore, ad esempio. Ma anche personale altamente qualificato impiegato in mansioni che poco hanno a che fare con il percorso formativo, o addirittura di minore entità. Se guardiamo a quest’ultima fattispecie, un investimento in istruzione che non trova adeguato sbocco lavorativo può comportare la decisione di migrare: tra i dottori di ricerca del 2014 occupati, il 18,8% vive e lavora all’estero a quattro anni dal conseguimento del titolo. Per loro si osserva una maggiore conformità tra la professione svolta e gli studi dottorali e più soddisfazione per il lavoro. In particolare, tra i dottori che lavorano all’estero è più elevata la quota di professori o ricercatori nelle Università e di ricercatori negli enti pubblici di ricerca (rispettivamente il 13% e il 7,4% contro il 4,3% e il 2,4% in Italia).

I dati sono contenuti nel rapporto Il mercato del lavoro 2018 del ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. Nel 2017, si legge nel testo, vi sono stati 773 mila primi ingressi di giovani di 15-29 anni nel lavoro dipendente, parasubordinato e in somministrazione. Essi rappresentano il 35% del totale degli oltre due milioni di individui che, nella stessa fascia di età, sono stati interessati dall’avvio di almeno un rapporto di lavoro nell’anno. Il dato risulta in crescita rispetto al 2016 (+28,4%) e in confronto a due anni prima (+34,4%, 198 mila in più). Sempre nel 2017 l’età media al primo ingresso è di circa 22 anni, nel 55% dei casi si tratta di uomini. Su 100 primi ingressi, oltre 50 si registrano nel Nord, 20 al Centro e 30 nel Mezzogiorno; 80 sono riferiti a cittadini italiani e 20 a stranieri. Il contratto a tempo determinato è il più utilizzato al primo ingresso (50%), seguito da apprendistato (14%) e lavoro intermittente (12%). Solo il 9% avviene con contratto a tempo indeterminato o in somministrazione e il 4% nella forma di collaborazione.
Secondo il rapporto, la quota di coloro che, entrati con un contratto temporaneo, sono passati a uno permanente (transizioni) risulta superiore per le classi di età più giovani e per la componente maschile, con un divario di genere che tende a diminuire all’aumentare del periodo di osservazione. Anche in questo caso restano marcate le differenze territoriali: tra gli entrati con un contratto temporaneo nel 2014, nel Mezzogiorno solo il 18,2% risulta transitato a un lavoro permanente dopo tre anni, contro una quota circa doppia nel Nord-ovest (36%).