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Cannabis: cosa avviene nel mondo

Dalla “guerra alla droga” alle prime concessioni negli Stati Uniti, dal caso Canada alla riclassificazione chiesta dall’Oms: una breve panoramica

di Redazione

Di recente l’Organizzazione mondiale della sanità ha chiesto di riclassificare la cannabis, favorendone l’uso terapeutico. È un punto di partenza fondamentale per comprendere meglio quali siano le tendenze nel mondo sull’uso, quindi sull’eventuale possibilità di vendita, della cannabis. Se ne sta parlando molto in queste ore, in Italia, dopo la proposta del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, di chiudere i cannabis shop, sorti negli ultimi anni sulla spinta della legge 242 del 2016, che disciplina la cosiddetta cannabis light, ovvero quella contenente un basso livello di THC (sotto lo 0,6%), il principio attivo della marijuana. Poiché diverse polemiche erano già sorte al riguardo, la Cassazione ha stabilito che la sostanza è per l’appunto legale e che sia da ritenersi ovvia, per quanto la legge non lo espliciti, la sua commercializzazione.

Resta in ogni caso una questone controversa, non solo in Italia. Negli Stati Uniti la marijuana è stata al centro della “guerra alla droga” che tante amministrazioni negli anni hanno portato avanti e solo negli ultimi tempi diversi Stati hanno cominciato a legalizzare un determinato approccio all’uso, terapeutico o ricreativo. Secondo un’indagine sul tema del Pew Research Center il 62% degli americani si dice favorevole alla legalizzazione della marijuana. In Italia, nel 2016, il 46% si dichiarava a favore di una depenalizzazione o della lagalizzazione del consumo (sondaggio Swg).

A questo punto, però, è necessaria una precisazione: in Italia la confusione nasce oggi in virtù della commercializzazione che entro certi limiti legati al principio attivo è consentita, tuttavia non è permesso l’effettivo consumo. Il legislatore, per dirla altrimenti, non ha chiarito fino in fondo il suo utilizzo che al momento è previsto essere piuttosto a “fini collezionistici”. Tornando ad allargare l’orizzonte, c’è da dire che la comunità scientifica è oggi abbastanza concorde nel ritenere la marijuana, ovviamente assunta nelle giuste quantità, un efficace rimedio terapeutico, in grado cioè di agire e alleviare dolori e disturbi di malattie croniche o simili. Casi di questo tipo riguardano alcuni Stati americani quali la California. In Colorado, dove nel 2012 è stato concesso l’uso ricreativo, i primi risultati si sono visti quasi immediatamente anche in termini di entrate e sicurezza: le entrate dalle tasse sul commercio sono state importanti già nel 2014, circa 60 milioni di dollari (di cui 40 destinati alle scuole che ne usufruiscono anche per corsi di prevenzione all’uso della marijuana stessa), gli incidenti stradali sono diminuiti (proprio grazie alla ferrea regolamentazione), come sono diminuiti (del 10% secondo l’Fbi) anche i reati.

In Canada è dove c’è stata la maggiore liberalizzazione tra i paesi del G7 tramite il cosiddetto Cannabis Act (che consente l’uso ricreativo), che ha avuto l’ok definitivo nel 2018. Ma ad oggi i risultati sono altalenanti: a fronte di un aumento dei costi di produzione – quadro che però ha visto avvicinare molti “nuovi” consumatori – il mercato illegale resta parecchio robusto, a fronte di prezzi evidentemente inferiori. Debellare il mercato nero è forse impossibile, ma è probabile che – dati alla mano – maggiori concessioni aiutino a contenerlo. Una ricerca pubblicata lo scorso aprile dalla rivista scientifica European Economic Review, Light cannabis and organized crime: Evidence from (unintended) liberalization in Italy, afferma che l’apertura dei cannabis shop abbia garantito una riduzione dello spaccio nel nostro paese del 14%, per una diminuzione del fatturato delle mafie per almeno 100 milioni di euro.

 

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