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Usa-Iran, il perché di un conflitto a distanza

Dal ripristino delle sanzioni alla “guerra delle petroliere”: così sono cresciute le tensioni in Medio Oriente

di Redazione

La Cina e la guerra commerciale. La denuclearizzazione della penisola coreana. La crisi siriana e il quadro mediorientale, che di certo include anche (soprattutto) l’Iran. L’estate di Donald Trump è piuttosto movimentata, tralasciando per un momento gli affari domestici, le sparatorie di El Paso e Dayton, la campagna elettorale – di fatto – già cominciata. Nell’estate del 2017 gli occhi del mondo erano fortemente concentrati sulle minacce che dalla Corea del Nord rimbalzavano negli Stati Uniti, temendo il peggio. Niente, però, se confrontato con il rischio concreto di conflitto in Medio Oriente che si è verificato il 20 giugno di quest’anno. Se i rapportti con Pyongyang sono nel frattempo migliorati, o quasi, considerati il maggiore impegno (almeno teorico) di Pyongyang nel processo di pace con la Corea del Sud e le pressioni statunitensi affinché rinunci alle ambizioni nucleari, quelli con Teheran si sono completamente inaspriti.

Tutto è cominciato con il ritiro formale di Washington dall’accordo sul nucleare stipulato con l’Iran nel 2015 e ritenenuto dall’attuale amministrazione svantaggioso per l’America, e il relativo ripristino delle sanzioni (misure che hanno trovato la sponda, seppure per ragioni diverse, di Israele e Arabia Saudita). Le tensioni tra Stati Uniti e Iran sono quindi cresciute nelle ultime settimane e hanno coinvolto, in un modo tutt’altro che marginale, altri paesi quali il Regno Unito. E molte delle azioni di disturbo sono avvenute in un’area specifica, lo Stretto di Hormuz (che divide la penisola arabica dalle coste iraniane mettendo in comunicazione il Golfo Persico e quello dell’Oman), dove è iniziata una vera e propria “guerra delle petroliere”.

I Guardiani della rivoluzione iraniana hanno infatti sequestrato alcune navi di paesi stranieri che trasportavano greggio, il più delle volte accusandole di non aver rispettato le norme marittime internazionali. Il caso recente più clamoroso è quello della Stena Impero, battente bandiera britannica, secondo molti osservatori come rappresaglia al blocco della nave iraniana Grace 1 al largo di Gibilterra. Come se tutto questo non bastasse, l’Iran ha riavviato l’arricchimento dell’uranio, ovvero quel lungo e complesso processo che consentirebbe a Teheran di dotarsi di una bomba nucleare.

La decisione è arrivata allo scadere dell’ultimatum che l’Iran aveva concesso ai restanti partner dell’accordo del 2015 (e all’Europa in generale) per contrastare le sanzioni di Washington. Il 20 giugno, ricordavamo all’inizio, il momento più delicato della crisi: il presidente Trump aveva approvato in un primo momento un intervento militare in seguito all’abbattimento di un drone statunitense, per poi tornare in seguito sui suoi passi, motivando che la risposta non sarebbe stata proporzionata e avrebbe potuto coinvolgere un numero elevato di civili. Di qui una serie di sospetti e minacce, compreso l’arresto – annunciato da Teheran – di 17 spie addestrate dalla CIA, l’intelligence americana. A parole nessuna delle due parti auspica un conflitto armato, ma entrambe non vogliono concedere troppo all’altra. Un lavoro che, arrivati a questo punto, si prospetta molto difficile per le diplomazie.

 

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