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Gig economy. Essere rider in Italia e in Europa

Il decreto salva-imprese approvato al Senato introduce in Italia una regolamentazione volta a riconoscere e tutelare i rider. In generale la situazione in Europa è ancora lontana dall’essere definita

di Redazione

È stato approvato al Senato il decreto legge salva-imprese, che tra le novità (il testo ora passa alla Camera) prevede di regolare attraverso maggiori tutele contrattuali e assicurative, i lavoratori delle piattaforme digitali addetti alle consegne, i cosiddetti riders. Il testo identifica i lavoratori flessibili come subordinati e perciò stabilisce una paga minima oraria in base al contratto vigente, un’indennità per il lavoro notturno, per le festività e in condizioni meteorologiche sfavorevoli, l’abolizione del cottimo e l’obbligo per il datore di stipulare un’assicurazione sugli infortuni.

In questo modo, dopo numerosi dibattiti, in Italia verranno riconosciuti i riders come dipendenti (a meno che non abbiano un contratto di collaborazione occasionale), escludendo però altre tipologie di lavoratori ibridi.

Una norma più complessiva è stata adottata negli Stati Uniti, in California, dove a settembre è stata approvata una legge a tutela di figure lavorative quali fattorini, autisti e addetti alle pulizie, che obbliga tutte quelle aziende che utilizzano piattaforme digitali e manodopera saltuaria e flessibile a considerare e trattare legalmente i propri lavoratori come dipendenti e non solo come collaboratori e quindi a riconoscere loro diritti quali il salario minimo, la mutua e la disoccupazione. Secondo il New York Times le aziende che fanno largo uso di questa forma di collaborazione dovranno aumentare le proprie spese per personale del 20-30%. Per questo motivo aziende quali Uber, Lyft e DoorDash si sono dette intenzionate a promuovere un referendum che le escluda da questa legge.

Per quanto riguarda l’Europa, il dibattito su come considerare lavorativamente parlando i riders e, più in generale, i gig workers, va avanti da tempo e solo ad aprile il Parlamento europeo ha approvato una legge che riconosce alcuni diritti e garanzie minime per i rider e per tutti i lavoratori a chiamata europei: una sorta di infrastruttura di tutele da implementare e declinare nei diversi paesi membri. La norma prevede l’obbligo di trasparenza per i datori di lavoro su orari, turni, mansioni e paga, il periodo di prova potrà durare al massimo sei mesi e le clausole di esclusività saranno eliminate. Secondo le stime del Parlamento europeo sono tre milioni coloro che beneficeranno di questo tipo di tutele.

La necessità di questa direttiva generale del Parlamento, che dovrà essere approvata dal Consiglio, entro cui i singoli paesi dovranno muoversi, nasce poiché a livello comunitario ancora nessun paese ha una regolamentazione per tutelare i lavoratori flessibili, considerati autonomi e ai quali non vengono quindi riconosciuti una serie di diritti garantiti ai dipendenti quali la contrattazione, il salario minimo, la previdenza. Negli ultimi due anni ci sono state sentenze a favore dei riders che, pur costituendosi come importanti precedenti, rimangono singoli episodi: in Francia, in Spagna e in Olanda dove in tre casi i riders sono stati riconosciuti dai tribunali come lavoratori subordinati e non autonomi. La situazione è diversa in Germania dove, generalmente, questo tipo di lavoratori – non solo i rider – sono contrattualizzati con il mini job, un contratto di lavoro atipico, con il quale a fronte di un salario massimo di 450 euro, per un limite formale di 15 ore di lavoro a settimana, vengono garantiti i diritti minimi del lavoratore. 

L’Italia, in attesa dell’ok definitivo al decreto, potrebbe così introdurre una regolamentazione ad hoc per questa “nuova” tipologia di lavoro, garantendo tutele e diritti minimi e riconoscendo la figura lavorativa del rider.

 

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