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Usa 2020. Trump in stato di accusa, i possibili scenari

La Camera Usa approva la procedura di impeachment, ora l’intero dossier passa al Senato. Presidente indebolito o boomerang per i democratici in vista delle elezioni di novembre?

di Fabio Germani

La Camera dei Rappresentanti Usa ha approvato, ieri mercoledì 18 dicembre, la procedura di impeachment nei confronti del presidente statunitense, Donald Trump. Questo significa, in altre parole, che l’inquilino della Casa Bianca è formalmente in stato d’accusa per abuso di potere e ostruzione del Congresso. Il primo capo d’accusa è stato approvato con 229 voti a favore e 198 contrari, mentre il secondo con 230 a favore e 197 contrari. Ora l’intero dossier passa al Senato, dove però, a differenza della Camera, la maggioranza è repubblicana. Quasi impossibile, dunque, che il presidente possa essere rimosso dall’incarico.

Donald Trump è il terzo presidente messo in stato di accusa, dopo Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998. Richard Nixon, nel 1974, preferì dimettersi di sua spontanea volontà (unico caso di dimissioni nella storia dei presidenti americani) a causa dello scandalo Watergate, anticipando la procedura di impeachment che si stava avviando alla Camera. Quella di Trump, tuttavia, è una prima volta che rende il suo caso diverso dai precedenti: è il primo presidente, infatti, che dovrà affrontare uno stato di accusa nel pieno o quasi – dipenderà dai tempi – di una campagna elettorale, che peraltro potrebbe confermarlo alla Casa Bianca per un secondo mandato.

Attraverso la procedura di impeachment i democratici hanno sollevato una duplice questione, una di tipo istituzionale – ritenendo cioè legittimo procedere contro il presidente per la sua cattiva condotta (Trump è “sotto processo” per l’Ucrainagate, vale a dire le pressioni, testimoniate da diversi funzionari nelle ultime settimane di indagini, che avrebbe esercitato sul presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, al fine di aprire un’indagine contro un potenziale contendente alla Casa Bianca, l’ex vicepresidente Joe Biden, e suo figlio Hunter, nel consiglio d’amministrazione di una società ucraina del gas) –, l’altra più politica. La vicenda ha di fatto aperto la campagna di Trump, il quale in un comizio a Battle Creek, in Michigan, ha attaccato duramente la controparte democratica, ricordando che al Senato la maggioranza repubblicana – per farlo decadere seriviranno peraltro i due terzi dei voti a favore della condanna – si esprimerà per la sua assoluzione.

La speaker della Camera, la leader democratica Nancy Pelosi, ha invece fatto sapere che aspetterà di inviare gli atti al Senato: prima vuole garanzie su un processo giusto. Al Senato si terrà un dibattimento e poi si voterà per la rimozione o meno del presidente. Tutto, allora, ruoterà attorno al tempo che verrà impiegato per giungere alla conclusione della vicenda. Se si arriverà rapidamente al voto, sarà allora un lasso di tempo troppo distante dalle presidenziali che si terranno il 3 novembre 2020 per sperare, dal lato dem, di provocare un qualche scossone. Se troppo in là, Trump potrà intestarsi la vittoria politica a ridosso dell’appuntamento elettorale. Alla fine è molto probbaile, salvo sorprese, che andrà come pronosticato dal leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, in un’intervista a Fox News qualche settimana fa: «Tutti sappiamo come andrà a finire. Non c’è alcuna chance che il presidente Trump sia rimosso dal suo incarico».

Eppure un qualche effetto la procedura di impeachment potrebbe provocare. Nel senso che tale situazione potrebbe indebolire il presidente, oppure no. Anzi, in caso contrario, potrebbe mettere nei guai gli stessi democratici. Ad oggi, nella media dei sondaggi elaborata da RealClearPolitics, l’indice di disapprovazione nei confronti di Trump è superiore a quello di approvazione (in un quadro abbastanza fisiologico per qualunque presidente), ma è difficile stabilire se l’impeachment sia fin qui riuscito a far oscillare le percentuali: probabilmente no. Inoltre, c’è da rammentare che neppure Nancy Pelosi (così come Mitch McConnell e Chuck Schumer, il leader della minoranza al Senato) gode di un alto indice di approvazione. Sulla politica estera, i dati relativi a Trump sono piuttosto in linea con quelli generali, mentre vengono capovolti rispetto all’economia. E quest’ultimo tema, si sa, è spesso decisivo ai fini elettorali.

@fabiogermani

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