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Medio Oriente: cosa prevede il piano di Trump

Il presidente Usa lo ha definito «l’accordo del secolo», ma difficilmente porterà ad una soluzione del conflitto

di Mirko Spadoni

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non si è mai distinto per la sobrietà. Quindi è stato impossibile rimanere sorpresi nell’ascoltarlo mentre ha illustrato il suo piano di pace per il Medio Oriente, presentato ieri alla Casa Bianca alla presenza del premier israeliano, Benjamin Netanyahu – nessun rappresentante dei palestinesi era presente, nonostante l’invito a partecipare dell’amministrazione Usa –, definendolo «l’accordo del secolo». Non tanto per l’obiettivo finale del piano – trovare una soluzione al conflitto israeliano-palestinese: quella sarebbe davvero l’impresa del secolo –, quanto per il contenuto. Che difficilmente potrà stabilizzare la regione.

Fonte: Flickr

La parte palestinese non è intenzionata a sottoscriverlo. A leggerne il contenuto, si capiscono i motivi di questa decisione. L’accordo proposto da Trump prevede ampie concessioni ad Israele – in particolare, Gerusalemme resterà la capitale indivisibile dello Stato ebraico, anche se ai palestinesi viene promesso che potranno stabilire la loro capitale nei quartieri arabi della città – e la creazione di uno Stato smilitarizzato che dovrebbe prendere il nome di Nuova Palestina. Inoltre Israele potrà estendere la sovranità in Cisgiordania, ad un patto: il congelamento della creazione di nuovi insediamenti nei territori arabi per quattro anni.

Le autorità palestinesi non ne vogliono sapere: il presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, ha ribadito l’intenzione di rifiutare qualsiasi accordo «che non preveda la soluzione di due Stati basata sui confini del 1967».

Al netto della sua fattibilità, l’accordo è stato presentato in un momento particolare tanto per Trump quanto per Netanyahu. Entrambi sono impegnati in campagna elettorale – le presidenziali Usa sono in programma il 3 novembre mentre le elezioni israeliane sono state fissate per il 2 marzo. Entrambi hanno problemi con la giustizia: Trump è sotto processo di impeachment al Senato mentre Netanyahu è stato incriminato per corruzione – brevissimo inciso: ha rinunciato all’immunità – e cercherà di “monetizzare” in termini elettorali l’accordo: alla Casa Bianca, ha portato con sé i leader dei coloni. Lo stesso potrebbe valere anche per Trump: storicamente l’elettorato repubblicano è maggiormente propenso a simpatizzare per israeliani rispetto a quanti dichiarano il voto per il Partito democratico, come dimostrato da un recente sondaggio del Pew Research Center.

Secondo il sondaggio – la rilevazione è stata condotta tra il 1 e il 15 aprile 2019, coinvolgendo 10.523 persone –, il 77% dei repubblicani appoggia la causa israeliana mentre la quota scende al 57% tra i democratici. Al campione è stato anche chiesto di esprimere un giudizio (favorevole o contrario) sul governo israeliano. In questo caso, il divario è considerevolmente più ampio: il 77% degli elettori repubblicani lo giudica con favore. Fa lo stesso soltanto il 26% dei democratici.

 

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