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Inutile ragionare sul «quando», ragioniamo sul «come»

La pandemia ci obbliga a ripensare le nostre vite, che verranno stravolte almeno per un po’. È doveroso riflettere sulla riapertura del paese, ma la priorità resta la salute dei cittadini

di Fabio Germani

La situazione in cui versa l’Italia (ma non solo l’Italia) sta mutando profondamente parametri e metriche della nostra quotidianità. Di norma, tendiamo a fare programmi, anche a lungo termine, a dare una scadenza agli impegni presi, a immaginare un futuro, ora più o meno vicino, ora più o meno lontano. Questo isolamento forzato, peraltro aggravato dalla mancanza di una dimensione temporale definita, ci obbliga a cambiare paradigma. Il quando passa inevitabilmente in secondo piano, mentre acquisisce un’importanza straordinaria il come. Ed è il come, oggi, a dover determinare il quando.

Se ciò è vero per molti di noi, presi individualmente e avvolti nell’incertezza di una pandemia che non solo ci ha sottratto agli affetti più cari, ma anche, in molti casi, al lavoro, alle nostre abitudini, alla frenesia che quasi rimpiangiamo, alle relazioni sociali ormai limitate ad una videochiamata (meglio di niente, si dirà), in maniera altrettanto efficace lo schema può essere applicato al sistema paese.

In questo senso assume un tono surreale – sia beninteso: per come è stato posto negli ultimi giorni – il dibattito sulla riapertura delle attività produttive. Sembra essere nata una contrapposizione – che inquina il dibattito – tra quanti ritengono doveroso non vanificare gli sforzi fin qui compiuti e andare avanti con lo stop alle attività “non essenziali” ancora per un po’, confidando in una fine (si spera) repentina dell’emergenza, e quanti , invece, ritenevano opportuno tornare dopo il 3 aprile (e adesso, a seguito delle ultime disposizioni in materia del governo, si presuppone dopo Pasqua) ad una “graduale normalità” al fine di non mortificare ulteriormente la nostra economia, in fase di indebolimento da prima che scoppiasse la crisi sanitaria.

Considerazioni quest’ultime giuste, ma dobbiamo partire da un fatto purtroppo netto: l’emergenza è tutt’altro che passata. Stiamo attraversando un rallentamento dei contagi (di per sé un’ottima notizia), ma la strada potrebbe essere ancora lunga. La storia delle epidemie insegna che la “fase due” è anche più difficile della prima, che “abbassare la guardia” potrebbe farci risprofondare in una situazione emergenziale che potremmo non reggere, se nel frattempo non si saranno liberati posti letto (in terapia intensiva e non) a sufficienza per garantire le cure a quanti potrebbero averne bisogno. 

Oggi, però, rispetto al passato, disponiamo degli strumenti e della tecnologia per riflettere sul come riaccendere il motore economico del paese. Sarebbe un grande balzo in avanti: avere una strategia fattuale – individuare ad esempio a cosa e a chi dare priorità (va tuttavia sottolineato che la comunità scientifica non sembra avere un parere univoco al riguardo) e quali settori è indispensabile riaprire per primi così da affiancarli a quelli essenziali – permetterebbe anche di riuscire a immaginare un quando plausibile, proprio perché il virus non intende concedere un termine esatto.

C’è un elemento, infatti, che abbiamo compreso in questo scenario per noi del tutto inedito. Passata l’emergenza, il virus, verosimilmente, non svanirà in automatico. Servirà del tempo, l’arrivo di un vaccino (non prima del 2021, sono le previsioni ad oggi) o un lento processo naturale, con alti e bassi che potrebbero di volta in volta condizionare le nostre vite. In pratica accetteremo il rischio di poterlo contrarre, ma con conseguenze meno aggressive e, soprattutto, con la consapevolezza di poter accedere alle cure se necessario, con un sistema sanitario nazionale non più in affanno.

Non è tanto importante il quando, adesso: l’unica cosa che conta davvero è essere al sicuro. Ma il come uscirne, tornare al lavoro e alla piena libertà, governo e politica dovranno saperlo illustrare anche attraverso informazioni chiare e tempestive ai cittadini e non di proroga alle restrizioni in proroga, accrescendo frustrazione alla già palpabile incertezza.    

@fabiogermani

 

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